Per i più anziani è la vecchia foto in bianco e nero, per i più giovani i tanti selfies a fine anno scolastico: entrambi descrivono forse l’accezione più usata della parola classe, ossia quella di un gruppo di ragazzi in un’aula. Apparentemente tutti uguali, tutti omologati, ma solo in quello scatto. La differenza di classe, quella sociale, si fa sentire eccome. È cronaca di questi giorni la discutibile decisione di un sindaco di servire un pasto di solo pane e olio ai bambini, i cui genitori non avevano pagato la retta della la mensa scolastica. Famiglie smemorate o indigenti, fatto sta che da una “fettunta” può cominciare la discriminazione di classe.
Prestigio, ricchezza e potere creano classi sociali ben diverse da quelle che devono fare, tutti i giorni, i conti con povertà, emarginazione ed esclusione. Nella società industriale le differenze di classe si caratterizzano nella disuguaglianza tra chi ha i mezzi di produzione e chi non li ha. Questa discriminazione porterà Marx a teorizzare la lotta di classe. Ancora oggi, di fronte all’acuirsi di crisi economiche, di esagerate e scandalose differenze sociali, non si può fare a meno di interrogarci sulla sua odierna attualità.
Nel frivolo mondo dell’apparire, non mancano mai un uomo o una donna di gran classe. Un termine, questo, che finisce, non a caso, per indicare personaggi che positivi non lo sono davvero, come un “farabutto di prima classe”. In questo caso, forse, il riferimento è alla classe di treni, navi o aerei, dove la prima classe è destinata a chi se la può permettere. Chi invece riesce a primeggiare in tutto, è senz’altro un fuoriclasse.