LA PAROLA

Coccodrillo

Dal latino crocodilus e dal greco κροκόδειλος, il vocabolo coccodrillo indica un grosso rettile, dal corpo «lacertiforme, con tegumento rivestito da placche cornee sul dorso e ossificazione dermiche ventrali» (dall’enciclopedia Treccani). Vive nei fiumi e nelle paludi intertropicali, è un animale vorace, talvolta pericoloso anche per l’uomo. È un eccellente nuotatore, mentre si muove con molta più difficoltà sulla terra.

Esistono diversi tipi di coccodrilli, che vivono in altrettante parti del mondo: quello del Nilo, particolarmente temibile, può arrivare fino a sei metri di lunghezza, mentre il coccodrillo diffuso nel sud America, si attesta sui tre, quattro metri. La sua pregiatissima pelle viene utilizzata per realizzare altrettanto pregiati accessori: borsette, cinture, scarpe, che spesso rappresentano un vero status symbol.

Coccodrillo è però anche un termine utilizzato in elettrotecnica, per indicare un particolare morsetto, che ha le sembianze proprio delle fauci dei feroce animale: una molla a due bracci dentati, che serve a realizzare connessioni temporanee. E ancora un grosso autotreno a due piani che, solitamente, trasporta autovetture nuove. Il termine viene anche usato per indicare uno speciale carrello delle ferrovie, che serve a trasportare i carri merci su strada e che è dotato di rotaie, ma viene spostato da un trattore.

Nell’immaginario collettivo, il coccodrillo è spesso associato al costume di chi, dopo aver fatto qualcosa, si pente. il detto popolare «versare lacrime di coccodrillo», infatti, indicherebbe proprio una tendenza di questo animale, che dopo aver divorato gli umani verserebbe copiose lacrime. In realtà non esistono evidenze scientifiche di questo fenomeno, ma si sa, quando le locuzioni entrano nell’uso comune, il linguaggio indietro non torna.

E pare che proprio connesso al pentimento, di solito falso, di chi versa lacrime da coccodrillo che sia legato l’ultimo uso della parola: quello che indica un pezzo giornalistico per parlare delle opere e delle azioni di qualcuno che è defunto. Una biografia postuma, che quindi diventa un necrologio, che ha come caratteristica, però, quello di essere pronta molto tempo prima che l’illustre deceduto sia davvero morto.

Nelle redazioni, quindi, si hanno coccodrilli per personaggi famosi, importanti, degni di nota. E può darsi che per qualcuno sapere di avere un coccodrillo lì, pronto per l’uso, sia anche motivo di vanto. Perché i coccodrilli non si scrivono certo per tutti e, molti di questi, hanno parole di encomio, per il valore del morto, e frasi di rammarico, per la gravità della perdita. I coccodrilli si aggiornano di tanto in tanto. In modo che, quando la morte si verificherà davvero, ci sarà solo da aggiungere le ultime note.

Il coccodrillo del giornalismo non ha quindi zampe né coda, ma parole e punteggiatura, che trovano spazio, spesso, in colonne. Ma certamente qualche volta ha fauci spaventose, perché ogni tanto, una penna, coraggiosa o incosciente, disegna ritratti non proprio generosi del caro estinto. Inoltre, il coccodrillo del giornalismo non vive in paludi o fiumi, ma sta nella “grotta”, l’archivio, appunto, dei coccodrilli. Ma questa è un’altra parola… e un’altra storia.

Chi fosse interessato può leggere qui come fanno al “New York Times” i coccodrilli.

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