Il pomo della discordia non è un frutto ma un albero. Anzi tanti alberi. E non di mele. Sono invece gli ippocastani tagliati in un viale di Firenze, viale Corsica, quartiere di Rifredi: di lì passa la storia operaia della città, ed il suo cuore, piazza Dalmazia, divenne celebre Il 13 dicembre 2011 quando un neonazista con seri problemi psichiatrici legato a Casa Pound, uccise a pistolettate due giovani senegalesi: la cosiddetta Strage di Firenze.
Viale Corsica costeggia quelli che un tempo erano la Centrale del latte da un lato e i Macelli dall’altro, dove appunto si abbattevano le bestie per poi aprirle, farle a pezzi, tagliare la costata da cui prelevare l’impareggiabile bistecca alla fiorentina, il girello e il filetto, senza tralasciare la trippa che in questa città viene mangiata fredda e accompagnata da sedano e cipolla d’estate e bollita in un sugo di pomodoro d’inverno, insieme al lampredotto, altre interiora probabilmente sconosciute nel resto d’Italia, nei chioschi dei trippai, banchetti ai bordi delle strade che neanche le direttive europee in materia d’igiene ed il fiorire di Kebab nell’offerta cittadina di Street Food sono riusciti a sradicare.
Un’area piuttosto vasta – 27 mila metri quadrati, un cratere largo 450 metri, lungo 60 e sui progetti profondo 40 – a ridosso della ferrovia nel tratto che precede di poco l’ingresso dei treni alla stazione di Santa Maria Novella, gioiello di architettura fascista voluto per mandare in pensione l’antica Leopolda (tornata alla celebrità con i grandi sconvolgimenti e le rottamazioni della politica italiana), progettato da Giovanni Michelucci e portato in porto in un baleno proprio nel cuore della città Rinascimentale: 850 metri da piazza del Duomo, lì dove c’è la Cupola del Brunelleschi, il Battistero e il Campanile di Giotto, 10 minuti esatti a piedi andando piano secondo i calcoli di Google Maps.
È su quell’area che, a causa di procedimenti giudiziari e conseguenti polemiche politiche (o viceversa), si è arenata la costruzione della nuova stazione sotterranea progettata da Norman Foster, dov’era previsto che – senza dover far marcia indietro come avviene oggi nella stazione di Santa Maria Novella che ha binari di testa – passassero in sotterranea, con tanto ovviamente di centro commerciale annesso, i treni dell’Alta velocità, riducendo ulteriormente il tempo necessario per andare da Milano a Roma com’è invece avvenuto a Bologna, sotto al luogo dove fu ferita a morte la coscienza di questo paese il 2 agosto di 37 anni fa.
Be’, su un lato di quel cantiere che ne incrocia un altro, quello su cui si sta costruendo la seconda delle tre linee della tramvia di superficie – collegherà l’aeroporto di Peretola e l’affollato quartiere di Novoli con la stazione di Santa Maria Novella dove già approda il trenino che congiunge Scandicci con il capoluogo toscano e dove sbarcherà anche la linea che consentirà di raggiungere dal centro l’ospedale di Careggi in un battibaleno – spiccavano fino a pochi giorni fa 59 ippocastani che il Comune di Firenze – giunta Pd, sindaco Dario Nardella – ha deciso di tagliare, precisando fin da subito che sarebbero stati sostituiti da altre piante immediatamente ripiantate.
Di più: il piano di abbattimento delle piante – anzi, come lo presenta il Comune, di rinnovo degli alberi in città – riguarda non 59 ippocastani, ma 800 piante.
Sbofonchi, mugugni, malumori, come avviene dai tempi di Dante, quando Guelfi e Ghibellini se le davano di santa ragione, senza riuscir mai a mettersi d’accordo, in una città che vanta uno dei più celebri tumulti della storia, quello dei Ciompi nel lontano 1378.
Polemiche e divisioni che, sulla storia della tranvia e del taglio di un po’ di alberi cresciuti proprio sul percorso dei binari, si sono decuplicate, perché, in termini di disagio da traffico, il periodo del mandato del sindaco è inevitabilmente stato catastrofico, ma se alla fine di esso l’opera sarà terminata, come promesso, la sfida lanciata tagliando il nastro ed aprendo i cantieri lo vedrà vincente.
Fatto sta che in viale Corsica, dove la tramvia non passa, subito dopo Ferragosto, è scoppiata la rivolta: fatte le debite proporzioni quello a cui si è assistito in Val di Susa, dove le sorti del pianeta sono state affidate all’avanzamento o meno dell’Alta velocità fra Francia e Italia.
La protesta è stata affrontata direttamente dalla Polizia, non in abbigliamento da sommossa, niente idranti e lacrimogeni, ma il contatto fisico c’è stato e i modi sgarbati forse anche.
Avvinghiati agli alberi in un bell’abbraccio che molti fanno (e molti altri farebbero bene a fare, si chiama silvoterapia) nei boschi per sentire lo scorrere della linfa e animati da quell’encomiabile intento di avere piante capaci di restituire un po’ d’ossigeno dove l’anidride carbonica straripa e si shakera ai veleni degli scarichi delle pur euro-catalitiche-ultima-generazione autovetture in circolazione, i manifestanti hanno contestato il taglio di quei 59 ippocastani che secondo i tecnici del Comune rischiano di schiantarsi al suolo al primo acquazzone o alla prima botta di tramontana, cosa che, per fortuna senza feriti, è avvenuta proprio in viale Corsica il 26 ottobre 2016 e poi di nuovo il 10 agosto di quest’anno, poco dopo che il comitato di protesta aveva presentato in Comune una controperizia per dimostrare che non tutti i 59 platani erano pericolosi.
La determinazione del Comune nel “rasare” altro che i 59 ippocastani del viale Corsica, ma appunto 800 alberi sparsi in giro per la città, nonché “incrollabili” siepi di oleandri come quelle del viale Guidoni, da cui si accede alla città arrivando dall’uscita Nord della A1, promettendo di ripiantarli per garantire verde sicuro ai cittadini e alle generazioni a venire, ma intanto togliendo ombra e ossigeno alla città, trova una spiegazione nella tragedia del giugno 2014, quando il crollo di un grosso ramo marcio, zuppo d’acqua e probabilmente mangiato internamente dagli insetti si spezzò nel parco delle Cascine uccidendo una bimba di due anni e la zia che passeggiavano a pochi passi dai genitori e dalla nonna della piccola, vicenda con un lungo strascico giudiziario. E nella tromba d’aria che si scatenò su Firenze il 1 agosto 2015, sradicando o mutilando in pochi minuti per la forza del vento 330 alberi, danneggiando molte case, facendo una ventina di feriti e provocando milioni di danni.