Chissà cosa direbbe l’ineffabile viceministro italiano del lavoro, della definizione che ha dato di lui, oltre un secolo fa, Ambrose Bierce: «Pubblica calamità. Uno che scambia il gusto con la perizia e confonde la sua ambizione con la sua capacità». Lo scrittore e giornalista americano ovviamente non pensava a Giggino Di Maio (è scomparso nel 1914 negli stessi giorni in cui scoppiò la Prima Guerra Mondiale) ma ai Giggino Di Maio in senso lato, quelli passati, presenti e futuri, vale a dire i tizi senza arte né parte che affliggono il nostro tempo e spacciano come verità i saldi princìpi sui quali hanno costruito la propria ignoranza.
Va da sé che il nostro vice ha annunciato in pompa magna di aver sconfitto la povertà. A seguire che con il decreto Dignità vi sarebbe stato un forte aumento di assunti, per non parlare del boom economico prossimo venturo, salvo smentirlo una settimana dopo di fronte alla fredda lucidità dei dati Istat. Tralasciamo poi il vezzo pulcinellesco di dare sempre la colpa agli altri – Lo spread stabile a 250 punti da quando sono arrivati al governo? Colpa di Renzi. Il pil allo 0,4 quando invece doveva essere all’1,5? Colpa di Gentiloni. Il debito pubblico che non scende di un decimale? Colpa di Monti… Di questo passo, salvo smentite, è probabile che entro la fine del 2019 accuserà Cicerone o Giulio Cesare o chissà pure Napoleone in quanto responsabili a diverso titolo di governi che ci hanno preceduti.
Dilettante secondo il Devoto Oli è sostantivo maschile e femminile, mentre dilettantesco è il suo aggettivo di riferimento che intenderebbe uno superficiale, non sufficientemente preparato. Difficile non pensare a Giggino. Nel mondo d’oggi del resto – il mondo della post verità, l’universo nel quale la competenza non è un dato misurabile ma un’opinione discutibile e dunque soggetta a giudizio per alzata di mano su Facebook – essere un dilettante non è una colpa. Tutt’altro. È qualcosa che ha il sapore dell’innocenza. Ha la freschezza dell’incompetenza inconsapevole. Lo sguardo candido del gatto che ha appena mangiato il canarino di casa. Ma non adagiamoci sulla nostra presunta illibatezza. Se i dilettanti portano seri guai all’Italia, la colpa non è solo loro. C’è una responsabilità collettiva. Noi li abbiamo votati, noi gli abbiamo creduto, noi di fronte ai loro disastri, non troviamo di meglio che scherzarci sopra per nascondere il nostro fallimento culturale. Se allora è vero quello che diceva Frank Capra – «I dilettanti giocano per divertirsi quando fa bel tempo. I professionisti giocano per vincere in mezzo alla tempesta» – in attesa che arrivi finalmente un temporale consoliamoci con G. Bernard Show: «L’inferno è pieno di … dilettanti» (nei puntini ognuno metta la categoria che preferisce).