In una vecchia edizione del vocabolario Zingarelli, del 1998, alla voce disoccupato si legge «A. participio passato di disoccupare, anche aggettivo. 1 Che è senza lavoro, senza occupazione(…) 2 (letterario) ozioso 3 (raro) Sgombro, libero (…) B. singolare maschile che no è più occupato (ecc)».
Nel dizionario online Treccani, disoccupato viene indicato sia come aggettivo che sostantivo. L’aggettivo riferito alla persona senza lavoro è il primo significato riportato. La voce verbale non è citata e viene da pensare che non sia un caso: come se nei 20 anni che distanziano le due definizioni sia cambiato il modo di interpretare e utilizzare una parola.
E, in effetti, il termine disoccupato in questo arco di tempo è diventato vocabolo di uso comune proprio nell’accezione di privo di occupazione. Un sostantivo e un aggettivo che hanno significato negativo, per la maggior parte delle persone, perché è nel lavoro che spesso l’essere umano realizza un’importante componente di sé. Sopratutto nella società attuale, in cui, in nome del lavoro, si è disposti a sacrificare tempo, desideri e sentimenti, dentro i ritmi sempre più frenetici che le più diverse professioni e occupazioni impongono.
E che il lavoro sia importante non è solo la necessità di guadagno a ricordarlo, né il dovere morale: lo dice anche la Costituzione italiana, che all’articolo 1, recita: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro».
Eppure il tasso di disoccupazione nel Belpaese, nel 2017, è stato dell’11,2 per cento. Una cifra non da poco, anche se, nella media dello scorso anno, il valore è sceso di 0,5 punti percentuali e si è trattato del terzo calo consecutivo dal 2013.
Anche i primi mesi del 2018 confermano una lieve crescita dell’occupazione: a marzo il numero delle persone impiegata sale dello 0.3 per cento rispetto a febbraio. Numeri che secondo molti commentatori sono da attribuire ai contratti a termine, sempre più diffusi in Italia, dove i titolari di questa forma contrattuale, tra un incarico e l’altro, vanno ad ingrossare le fila dei disoccupati.
Per capire cosa significa il sostantivo disoccupato, insieme al dizionario, viene in aiuto anche legge: nel decreto legislativo 297 del 2002, che modifica un precedente decreto e ha l’obiettivo di agevolare l’incontro tra domanda e offerta, si sottolinea una differenza sostanziale tra due termini usati come sinonimi: disoccupato e inoccupato.
Il primo, ricorda il decreto, è colui che è stato precedentemente occupato, titolare di un rapporto di lavoro autonomo o subordinato ed è diventato poi privo di lavoro. Altra condizione del disoccupato è che si sia reso «…immediatamente disponibile allo svolgimento ed alla ricerca di una attività lavorativa secondo modalità definite con i Servizi competenti». L’inoccupato, invece, non ha mai «… svolto attività lavorativa» ed è quindi, nella ricerca di lavoro, un “esordiente”.
Per la legge italiana, in sintesi, il disoccupato è colui che cerca lavoro e che, implicitamente, desidera cambiare la propria condizione. Non chi decide di non lavorare. E torna quindi l’accezione negativa del termine, che è quella più comune nella lingua di tutti i giorni: disoccupazione e serenità, così come disoccupazione e dignità non vanno certo di pari passo.