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Dropping Seeds: da Venezia un laboratorio per la pace

Da principio era un’installazione artistica, programmata nell’ambito della veneziana Biennale d’Arte 2017. Certo è che Dropping Seeds della statunitense Debra Werblud (classe 1957, una artista nota per il suo impegno politico-sociale), è divenuta nel corso di questi ultimi mesi molto altro: «un progetto – come spiega la stessa Werblud – dedicato a tutti coloro che vivono per costruire ponti, dare corpo all’invisibile, soprattutto per riconoscersi …».

Dapprima ci hanno creduto in pochi, organizzatori testardi, modaioli ed incorreggibili utopisti. Funziona così, in tempi virtuali. Eppure ci si è dovuti ricredere, ed è stato piacevole.

Inaugurata nel settembre 2017 a cura di VeniceArtFactory ed ospitata nella Loggia del Temanza a Ca’ Zenobio, che è poi la sede del “Centro di studi e documentazione della cultura armena” a Venezia, Dropping Seeds ha l’aspetto di una camera abitata, una sorta di cavità delimitata da enormi fogli di carta di gelso su cui sono raffigurati intrecci di radici e rami in stato di crescita o di decomposizione. L’intento dell’artista è stato, da subito, quello di definire un luogo di rifugio o di passaggio, complicato e plurale come è il mondo. Tuttavia, al di là dell’indubbio effetto scenografico, un bianco e nero iperconnotato e straniante, l’opera è ben presto divenuta un simbolo, una bandiera, una nave pirata nelle paludi dell’effimero. Soprattutto, ha contraddistinto un fenomeno aggregativo come, da queste parti, non si aveva più memoria.

Lo sforzo associativo ha realmente messo in contatto i costruttori di ponti, gruppi locali e realtà internazionali, a favore della pace e di una politica dell’accettazione che vada oltre le apparenze, con la nascita di un Forum permanente sul dare e ricevere rifugio. Si tratta di un’azione necessaria, di questi tempi (Macerata docet), così come si auspica possa durare nel tempo (e qui la faccenda si complica, perché in barena, tra sabbie mobili e nebbie politiche, generalmente prevale l’inazione…).

Tant’è, ma le forze in campo, finora, hanno compiuto gesti concreti e coordinati, da far gridare al miracolo: prima fra tutte VeRiPa (Fondazione Venezia per la Ricerca sulla Pace), Centro studi che ha annoverato tra i propri consiglieri scientifici personaggi come Raymond Panikkar. Immediata, infatti, la sua adesione al progetto, a cui ha dato anche casa, ospitando – nella splendida sede dell’ex convento di Sant’Elena, un laboratorio residenziale per otto poeti vittime o testimoni di violazioni dei diritti umani: Poets in Residency, coordinato da Efe Duyan, nazionalità turca, giovane voce tra le più appassionate del panorama europeo.

Così lo scambio tra immagine e parola sull’offrire rifugio e sulle conseguenze del trauma individuale e collettivo, ha suscitato in questi mesi un fitto programma di eventi, performances musicali e teatrali, interviste e dibattiti a cui hanno partecipato l’Università degli Studi di Ca’ Foscari e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Tra tutti, particolarmente suggestiva la messa in scena dello spettacolo Lost Generation (regia e testo di Pietro Floridia) a cura della compagnia teatrale “Cantieri Meticci”, che riunisce artisti provenienti da oltre venti Paesi, molti dei quali rifugiati politici. Tuttavia, se la storia di K., padre italiano e madre somala a caccia di un cognome e di un’identità definita, ci ha commosso, come non ritornare proprio al viatico di Panikkar, al suo Pace e disarmo culturale pubblicato appena una quindicina di anni fa per Rizzoli? Scrive Jiso Forzani, filosofo e monaco zen Soto, nelle note introduttive: «… non un dialogo per giungere ad una soluzione, ma un dialogo per essere, perché io non sono senza l’altro».

Ecco perché Dropping Seeds, nell’idea rivoluzionaria di Debra Werblud, più che mai ora che i riflettori sull’evento si sono spenti, resta una sfida: trasformare i retaggi della violenza vissuta in relazioni etiche e consapevoli, anche attraverso la mediazione dell’arte, della parola, dello scambio culturale; mantenere vivo il Forum, Journal for Dropping Seeds. Per essere, perché io non sono senza l’altro.

E questo, per una città dal passato grande e dal futuro che molti ipotizzano meno felice, è una bella scommessa.

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