LA PAROLA

Elezioni

Dal latino eligĕre (scegliere, quindi electionem, electus), la parola elezione è per lo più utilizzata e conosicuta al plurale, con la quale forma si definisce l’espressione più alta di democrazia diretta. Siamo talmente abituati a sentir parlare di elezioni, visto che in Italia ormai, tra quelle politiche reiterate, le amministrative e le regionali, si vota più volte all’anno, che sono pressoché fuori dall’uso altri e meno comuni significati.

Aggiungiamo pure le elezioni del presidente della Camera e del Senato (in corrispondenza delle reiterate politiche), del presidente della Repubblica (ogni sette anni, più o meno), del papa (per fortuna “sovrano” a vita), del rappresentante di classe a scuola, come di ogni altra qualsivoglia assemblea, espressione di una base: sia essa il popolo dei votanti, il Parlamento, la classe quarta dell’istituto tecnico per geometri, il Cda di una qualunque partecipata. Quando questa base, più o meno ampia, sceglie un proprio rappresentante – ecco il significato originario della parola – lo fa tramite la procedura delle elezioni.

Sono governate da regole democratiche, a volte semplici, altre astruse, come quelle della più recente legge elettorale italiana, il vituperato Rosatellum, tanto arzigogolato da produrre ingovernabilità e costringere l’apparato amministrativo a mettere in piedi, a breve, un’altra tornata elettorale e gli italiani a recarsi alle urne.

Da quando nel 1993, il politologo Giovanni Sartori definì Mattarellum, a mo’ di sfottò, la legge che sancì il passaggio dal proporzionale al maggioritario, proposta da Sergio Mattarella, allora parlamentare della Dc, è sorto l’uso di latinizzare il nome del politico che presenta la legge elettorale o un altro termine che in qualche modo la rappresenti (ad esempio la legge Calderoli, che lui stesso definì una porcata, è passata alla storia come Porcellum): e così, via anche a Consultellum, Italicum, Tatarellum, Toscanellum, Legalicum, uno peggio dell’altro, passando anche per Verdinellum e Speranzellum. E invece la speranza (con la “s” minuscola) è che nasca un Equatellum (per coniare un bel latinismo altisonante che attinga al giusto) che restituisca governabilità a questo povero Paese sull’orlo del baratro.

E se alla fine anche votando, in realtà si sceglie solo fino a un certo punto, vale la pena ricordare che elezione significa propriamente «scelta compiuta per un libero atto della volontà» (cit. vocabolario Treccani). «Né per elezion mi si nascose,/ ma per necessità ché ‘l suo concetto/ al segno d’i mortal si soprapuose » (Dante, Paradiso XV, 40-42); c’è l’elezione di domicilio, con cui si sceglie, appunto, un domicilio per determinati atti o affari; si usa dire la patria d’elezione, diversa da quella di nascita, ma liberamente scelta per viverci.

Nel linguaggio medico, infine, si usa dire intervento di elezione per definire un’operazione chirurgica programmata, in cui la parola indica la possibilità di scegliere o programmare il momento dell’intervento, anche a distanza di tempo dalla diagnosi. Il contrario, infatti, è intervento in urgenza. In questo caso, senza possibilità di eligĕre.