LA PAROLA

Metrosessuale

GIULIA CARUSO

Mutande griffate, muscoli guizzanti e debitamente oliati. Ore e ore consacrate alla palestra come fosse un nuovo tipo di sacerdozio. Uso selvaggio di profumi e deodoranti e infine, dieta salutista e, ancora meglio se vegana. Iperdepilato, sopracciglia ad ala di gabbiano, sguardo ammiccante o perso a inseguire chissà quali inarrivabili orizzonti. Corteggiato e inseguito da stilisti e istruttori di palestra à la page. Ecco un ritratto a grandi linee del metrosessuale, ovvero il Narciso del terzo millennio.

E il termine, nemmeno a farlo apposta, è la traduzione tutta nostrana della parola inglese Metrosexual, coniata dal vulcanico giornalista britannico Mark Simpson nel 1994. Allora fu incoronato David Beckham come “testimonial” planetario del genere, diventato tra l’altro “reginetto” assoluto di un celeberrimo marchio di mutande italiano. Già, l’Italia. Un paese che come ha spiegato anche lo stesso Simpson, ha abbracciato il verbo metrosexual più di ogni altro in Europa. Come ebbe a dichiarare in un’intervista a un noto settimanale italiano qualche anno fa: «Il narcisismo maschile e il desiderio di essere desiderato è alla base del metrosessualismo – e in Italia a differenza che nel mondo anglosassone questo non è mai stato veramente represso». Se lo dice lui…

Ansiosi di scoprire l’esatta etimologia del termine, questa volta abbiamo spulciato il dizionario Treccani che già nel lontano 2008 annoverava il termine metrosessualità tra i neologismi degni di nota, definendola come segue: «La cura del proprio aspetto secondo i dettami della moda, con la volontà di superare schemi esteriori e usi tradizionalmente maschili». Con buona pace dell’autorevole dizionario, siamo andati ben oltre.