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La definizione più “semplice” di gene è molto “complessa” e presuppone un certo numero di conoscenze biologiche, senza le quali è davvero difficile comprendere di cosa si stia parlando. La definizione più semplice di gene, che tiene conto delle varie sfaccettature acquisite studiando sempre più nel dettaglio le basi degli organismi viventi, è probabilmente quella data dallo studioso Mark Gerstein, secondo il quale «un gene è l’unione di sequenze genomiche che codificano per un set coerente di prodotti funzionali potenzialmente sovrapponibili».
Come si vede, una definizione tutt’altro che chiara, o semplice, se non si è prima appreso cos’è una sequenza genomica, la codificazione di un set e la coerenza di prodotti funzionali potenzialmente sovrapponibili. Cioè qualcosa di molto complesso.
Per tentare di dare un’idea di cosa sia un gene – parola coniata dal botanico danese Wilhelm Ludvig Johannsen (1857-1927) derivandola dal greco, dove significa “origine” – si può dire che è «l’unità ereditaria fondamentale degli organismi viventi», vale a dire una combinazione di molecole chimiche presenti in quell’acido nucleico – l’acido desossiribonucleico o deossiribonucleico, più noto come DNA (sigla dell’inglese DeoxyriboNucleic Acid) – che contiene le informazioni genetiche necessarie allo sviluppo ed al corretto funzionamento della maggior parte degli organismi viventi.
La struttura del DNA, con i suoi due filamenti che si avvolgono in una doppia elica la cui forma ricorda quella di una scala a chiocciola, è stata scoperta solo nel 1953 dai ricercatori inglesi James Watson e Francis Crick. Le unità fondamentali dei due filamenti sono quattro molecole chimiche, le basi azotate – due purine, adenina e guanina, e due pirimidine, citosina e timina – che possono appaiarsi tramite legami a idrogeno formando così i “pioli” della scala, soltanto in maniera obbligata (adenina con timina e citosina con guanina), determinando proprio con la loro sequenza singolare l’unicità dell’informazione genetica.
La funzione del gene è quella di “dare le istruzioni” alle cellule per la sintesi proteica e di tramandare le informazioni da una generazione a quella successiva.
Esistono due categorie di gene, quello strutturale e quello regolatore. Il primo è portatore delle informazioni che permettono di costituire le catene polipeptidiche. In altre parole il gene strutturale viene trascritto dal DNA al RNA messaggero (mRNA), costituito da un solo filamento di DNA, che una volta uscito dal nucleo fornirà le informazioni necessarie per sintetizzare una determinata proteina che andrà a svolgere una specifica funzione.
I geni regolatori, invece, sono responsabili di attivare o meno la trascrizione di quelli strutturali, e lo fanno all’interno del nucleo ancor prima che si formi il mRNA. Sono chiamati anche fattori di trascrizione.
Negli organismi superiori tutti i geni sono presenti in coppia (diploidia): le due parti della coppia, chiamate alleli, derivano ciascuno da un individuo diverso, il padre e la madre, e, pur esercitando la stessa funzione – codificando cioè per lo stesso carattere – lo fanno in modo diverso se le informazioni genetiche provenienti dai due genitori sono diverse; è il caso, ad esempio, di quanto succede per il carattere “colore degli occhi”. Gli alleli possono essere dominanti o recessivi, per questo vi è maggior probabilità di trovare donne e uomini con occhi marroni (carattere dominante) invece di azzurri (carattere recessivo). Quando entrambi gli alleli si manifestano contemporaneamente ed in modo completo – è il caso di coloro che hanno il gruppo sanguigno AB – si ha il fenomeno della codominanza. Quando invece le informazioni dei due alleli danno luogo a caratteristiche intermedie tra i caratteri genetici dei genitori, come nel caso di un fiore rosa che deriva da un fiore rosso e da uno bianco, si ha il fenomeno della dominanza incompleta, perché il fenotipo (dal greco phänos, apparire), ciò che appare, non è né quello del fiore rosso, né quello del fiore bianco, ma un fenotipo derivato dal miscuglio tra i due.
Le mutazioni a livello dei geni, alla base dell’evoluzione della specie, sono anche causa di malattie genetiche; tali mutazioni possono riguardare sia un singolo gene che un loro discreto numero, possono consistere in una perdita o acquisizione degli stessi (spesso interi segmenti di DNA contenenti decine o centinaia di geni), oppure interessare il numero o la struttura di interi cromosomi. Corea di Huntington, sindrome di Wiskott-Aldrich, fibrosi cistica, distrofia muscolare, talassemia, sono solo alcuni esempi di malattie genetiche.
Oggi esistono alcune cure per queste gravi patologie mentre sono allo studio altre: l’obiettivo della ricerca genetica è quello di curare un numero crescente di malattie correggendo i difetti genetici che le causano. Grazie alle cellule staminali, alla terapia genica, alla medicina rigenerativa e alla recente tecnologia per l’editing genomico è arrivata la possibilità di correggere il DNA con cambiamenti mirati sul singolo gene. Controllare finemente l’espressione di un gene, distruggere i geni malfunzionanti, convertire direttamente un gene difettoso nel corrispettivo funzionante, ri-direzionare le cellule immunitarie contro i tumori più aggressivi e aumentarne la specificità, sono solo alcune delle potenzialità – in piccola parte già divenute reali – a cui ci apre la ricerca; altrettanto importanti e numerosi dovrebbero essere i motivi per sostenerla.