Si intraversano nella curva a gomito della piazzetta affacciata sull’Arno almeno tre o quattro volte al giorno, nel tentativo di vomitare o ingoiare (ai nostri fini non fa differenza alcuna) il loro quotidiano carico di visitatori di fronte all’ingresso della cosiddetta zona pedonale. Tentano la manovra disperata, vanno avanti, indietro, sterzano tutto, vanno ancora un po’ indietro, vai vai, ancora un pochino… Stop! Qualche volta chiamano persino i vigili, spesso bloccano il traffico, regolarmente fanno gente. Dall’alto della scalinata, dipendenti e utenti della Biblioteca Nazionale si affacciano ad osservare sgomenti l’ennesima ordinaria violenza perpetrata sulla “Città Unica”, come ebbe a chiamarla uno scrittore che molto l’aveva amata.
E visto che di scrittori qui si vuol parlare, anche l’ombra ermetica di Pietro Bigongiari, ora ricordato da una targa apposta dall’amministrazione comunale nel cinquantenario dell’alluvione, scosta leggermente una tenda della sua abitazione in Piazza Cavalleggeri e guarda curiosa, nel parcheggio sottostante, i macchinosi contorcimenti dei torpedoni. È questo il termine da gite aziendali in bianco e nero o escursioni parrocchiali anni ‘50 che forse sarebbe occorso al poeta, per indicare gli sgargianti bus a due piani che consentono ai moderni “grand touristi” di guardarci dall’alto di comodi scranni, come formicuzze affaccendate in chissà quali loro inutili faccende.
Poco più avanti, già all’imbocco di corso Tintori, dal portone del palazzo signorile che un tempo ospitava l’Hotel Jennings Riccioli (l’affaccio principale sul Lungarno alle Grazie ancora ne porta il nome), i cui interni ispirarono la “Pensione Bartolini” di Camera con vista, Tommaso Landolfi scantona mani in tasca (dove si dice tenesse sempre almeno un mazzo di carte) per andarsi a dannare nella prossima bisca, inghiottito dal ventre di Santa Croce. Che si apre, morbidamente oscuro e labirintico, di certo femminile, sul fronte e sul fianco della Basilica, pronto ad accogliere, come si sa, i sogni dei poveri amanti di Pratolini e molte altre miserie o nobiltà.
Un triangolo scaleno, figura geometrica sottesa su sottilissime traiettorie, ragnatela di arte, memoria e poesia come le tante che intessono la città, magari più splendide, magari più note, sempre delicatissime, evanescenti, sul punto di apparire e svanire ad un anelito di vento, ad un cambio di luce, ad un so che squarcio di nostalgia.
Dall’altra parte del fiume, la facciata compatta di bugnato e ocra del villino Serristori, ora sede di una Casa Museo di proprietà della Regione Toscana, veglia con palpebre discretamente abbassate i segreti di Rodolfo Siviero, lo 007 dell’arte. Ma questa è un’altra storia di quadri, intrighi, ufficiali nazisti e anglo-americani, oscuri faccendieri e probi funzionari che la città potrebbe raccontare, a chi volesse percorrerla lento pede.