LA PAROLA

Gratitùdine

Lasciando da parte il suo debito alle parole grazie e grazia – di cui ci si potrà occupare in un altro momento –, la gratitùdine, come spiega il Vocabolario on line dell’Enciclopedia Treccani, è quel «sentimento e disposizione d’animo che comporta affetto verso chi ci ha fatto del bene, ricordo del beneficio ricevuto e desiderio di poterlo ricambiare».

La gratitùdine, ci dice quell’autorevole fonte, si ha, si sente, si nutre, la si serba o la si mostra, funziona come genitivo di atto, manifestazione, segno ed è sinonimo di riconoscenza, indicando però «un sentimento più intimo e cordiale» di questa.

Provarla – o, appunto, nutrirla, averla, sentirla – è due volte una gran bella cosa: la prima perché c’è qualcuno che «ci ha fatto del bene» e questo il più delle volte è impareggiabile; e la seconda perché, in virtù del «ricordo del beneficio ricevuto», si ha «desiderio di poterlo ricambiare», si percepisce dentro di sé un sentimento o una disposizione d’animo in quel senso, in quella direzione, ed anche questo il più delle volte è impareggiabile, anche solo per averlo provato, sentito, nutrito, nemmeno per essere riusciti a ricambiarlo, ad esprimerlo, a manifestarlo.

Trovare il modo per farlo non è semplice e l’assurdo è che non ci sarebbe bisogno di alcuna complicazione, ovverosia che nell’istante immediato in cui si complica e si rende difficile il semplice modo di ricambiarlo, esprimerlo e manifestarlo – in cui cioè si cerca il modo per farlo –, si è già mandato a puttane la gratitudine che è «un sentimento più intimo e cordiale» della riconoscenza.

A complicare la faccenda c’è ovviamente anche il fatto che chi dovrebbe beneficiare della gratitudine, proprio perché ha semplicemente fatto del bene, difficilmente è disposto a ritenere di dover essere ricambiato per il bene fatto, se non mediante l’affetto che esso dovrebbe aver fatto scaturire, se non mediante il sentimento e la disposizione d’animo suscitati, senza che ci sia bisogno di ricambiare, esprimere, manifestare. Come se il bene fatto non fosse stato espresso, manifestato, intercorso.

Di ciò, volendo sinceramente avere, sentire, nutrire, serbare gratitudine, si deve prendere atto ed essere consapevoli. Accettando quindi di non doverla e non poterla esprimere, semplicemente di averla, sentirla, nutrirla, serbarla. A costo di rischiare che, non esprimendola, si supponga non la si nutra.

In altre parole spesso la gratitudine è solo qualcosa che alberga nel proprio animo. Ma non rendersi conto di provarla, anche senza poterla esprimere, è un orrendo crimine. Provo gratitudine verso chi tenterà di comprendere questa riflessione.

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