Questo oggetto di forma conica e costruito con svariati materiali appare come uno dei primi fenomeni magici cui un bambino può assistere. Il momento è quello in cui a casa i parenti ormai adulti devono appunto travasare un liquido da un recipiente ad un altro. Come fare? Ecco che il bambino assiste al prodigio, dagli effetti ipnotici: un cono dall’ampia apertura che sembra mantenere sempre lo stesso livello di liquido introdotto, con un gorgoglio che sembra cosa vivente per suono e movimento. Gli occhi del piccolo sono incollati e forse è forte anche la tentazione di giocarci. Un attrezzo semplice, eppure a volte indispensabile, una trovata forse paragonabile alla stessa ruota.
Ma anche una parola con un suo gradiente metaforico da non trascurare. L’espressione “mangiare a imbuto” indica il mangiare in fretta, molto e voracemente, come buttando giù il cibo aiutandosi con quel magico cono. Mangiare, senza lasciare nulla fuori dalla propria portata, grazie all’economia dell’imbuto che nulla lascia cadere dalla sua oscura bocca. Molti mangiano “a imbuto”, ma o non lo sappiamo oppure lo immaginiamo, con una probabile invidia sottaciuta.
Tuttavia, si può riscattare questo oggetto, pensando al fatto che canalizza, convoglia un flusso in un punto preciso che allude alla messa a fuoco, alla precisione. Gian Maria Volonté in un’intervista di qualche anno fa, per descrivere il suo metodo interpretativo a livello filmico usò questa espressione, specificando che per indossare i panni del protagonista, ne studiava prima il contesto storico, poi le relazioni sociali, infine a “imbuto” si concentrava sul suo mondo interiore.
L’imbuto, oggetto così trascurato eppure così unico, paradossale come la proboscide di un elefante, capace di suscitare ilarità se si pensa alla versione romana che divenne un tormentone del comico Corrado Guzzanti, che ebbe la geniale idea di utilizzarlo come intercalare canzonatorio per commentare la pseudoalta cultura nostrana. Intrighi…misteri…omissioni…”’mbutiii..”.