Chi li ha acquistati nel 2009 quando costavano pochi centesimi e li ha tenuti fino a oggi, ha accumulato una fortuna. Stiamo parlando dei bitcoin, da alcuni osannati come la moneta del futuro, da altri invece, demonizzati come fonte di nuovi disastri finanziari. L’economista Nouriel Roubini, professore di economia e alla Leonard N. Stern School of Business, noto per aver previsto la crisi finanziaria del 2008, ha sottolineato come il bitcoin sia solo un’altra gigantesca bolla destinata a scoppiare e lasciare sul terreno un numero esponenziale di nuovi poveri.
Per comprendere di cosa stiamo parlando, dobbiamo prima di tutto sapere che non si tratta di moneta. Diciamo piuttosto che si tratta di un “valore” concordato tra le parti sulla base della legge della domanda e dell’offerta. È denaro perché ha potere d’acquisto, ma non è una moneta. Non lo è almeno nel senso classico del termine.
Il bitcoin non è emesso né garantito da una Banca Centrale ma è frutto di un software. In circolazione dal 2009, è stato reso disponibile a livello mondiale in base alle regole pubblicate da Satoshi Nakamoto, universalmente considerato l’inventore del sistema. In realtà si tratterebbe di uno pseudonimo dietro al quale, nessuno, almeno al momento, sa chi ci sia veramente. Se volete avventurarvi in questo nuovo pianeta finanziario, vi consigliamo di scandagliarne tutte le possibilità su bitcoin.org, disponibile anche in italiano.
Per semplificare diremo che si basa sulla tecnologia peer-to-peer (P2P), la stessa utilizzata da tempo per lo scambio più o meno legale di file musicali, film e software. Cardine del sistema è il trasferimento di valuta tra i conti pubblici, detti wallet (portafoglio) degli utenti.
Ogni transazione è pubblica ed è memorizzata in un database che viene replicato nei computer di tutti quelli che possiedono un wallet. All’interno del wallet di ogni utente c’è, una coppia di chiavi crittografiche: la chiave pubblica, cioè l’indirizzo che fa da punto di invio o ricezione dei pagamenti, e la chiave privata che serve per apporre la firma digitale e autorizzare le transazioni. Per intenderci, possiamo pensare alla chiave pubblica come all’Iban di un conto corrente, e alla chiave privata come alla firma dell’intestatario del conto.
I bitcoin all’interno di un wallet possono essere spesi solo da chi ne possiede la chiave privata: se questa viene smarrita, i bitcoin associati non potranno più essere spesi e il relativo importo non sarà indisponibile.
Quando un utente A trasferisce criptovaluta a un utente B attraverso una connessione diretta da computer a computer, aggiunge alla propria valuta la chiave pubblica di B (cioè l’indirizzo del destinatario, il suo iban) e autorizza la transazione firmandola con la propria chiave privata. La transazione inviata sulla rete peer to peer, viene controllata e registrata da tutti i nodi che partecipano alla rete. Il processo di validazione avviene risolvendo, per ogni transazione, un complesso set di operazioni matematiche che richiede una grande potenza di calcolo ma che garantisce la validità dell’operazione.
Il metodo garantisce cioè che A disponga veramente della quantità che sta trasferendo a B e che quella stessa quantità non sia già stata utilizzata in altri scambi. Quando la validità della transazione viene confermata, l’informazione viene aggiunta al database distribuito, chiamato blockchain, a questo punto ogni nodo della rete è a conoscenza dell’avvenuta transazione.
La blockchain contiene tutti i movimenti di tutti i bitcoin generati dall’indirizzo pubblico del loro creatore fino all’ultimo proprietario. I miner sono gli operatori che verificano le transazioni. L’attività è particolarmente onerosa in termini di capacità computazionale e per questo motivo il miner viene adeguatamente ricompensato in criptovaluta.
La criptovaluta viene automaticamente generata e accreditata sei volte l’ora nei wallet degli utenti che contribuiscono al mantenimento del sistema. Il mining è quindi un’attività che consente, a chi la pratica, di generare nuovi bitcoin.
Il sistema presenta ovviamente dei rischi. L’anonimato delle transazioni lo rende moneta ideale anche per gli scambi illegali. Per lo stesso motivo gli introiti sono impossibili da tassare, a meno che non vengano esplicitamente dichiarati.
In Italia sono funzionanti alcuni bancomat dai quali è possibile prelevare contanti o versare contanti nel proprio conto bitcoin che verranno convertiti secondo il tasso di cambio vigente in quel momento. Prima di utilizzare un bancomat bitcoin è necessario installare il portafoglio elettronico nel proprio smartphone e generare il proprio indirizzo Bitcoin (il numero del proprio conto corrente virtuale) e il relativo codice da far riconoscere alla macchina per il successivo accreditamento o prelievo di valuta.
Il primo Automatic Teller Machine (Bancomat) per bitcoin fu installato a Vancouver, Canada il 1º novembre 2013. Il primo in Italia e terzo in Europa, dopo Helsinki e Zurigo è stato istallato a Udine nel febbraio del 2014.