Che cos’è l’inciucio? Maneggio, pateracchio, intrigo e velocità di accordo sottobanco. Parafrasando la celebre definizione di genio, tratta dal film Amici miei, l’inciucio, oggi, questo è: un accordo informale fra forze politiche contrapposte, che si traduce in un do ut des con l’obiettivo della spartizione del potere.
In principio era altra cosa. Significava pettegolezzo in dialetto napoletano, cui appartiene la parola di origine onomatopeica. Il lemma partenopeo ‘ncicucio, infatti, deriva dal verbo ‘nciucia’, «spettegolare parlando fitto e a bassa voce», si legge su Wikipedia, con chiaro richiamo al suono ciù-ciù, percepito dal cicaleccio tra due persone.
Da diversi anni, snaturato dal suo significato originario (la parola napoletana che traduce inciucio nella sua accezione attuale è ‘nciarmo), è entrato di diritto nel politichese moderno, quello che, dagli anni Novanta, ha trasformato il linguaggio aulico e astruso con cui si esprimeva la politica, in una forma più popolare e più adatta alla rapidità e alla sintesi richiesta dai social e dai nuovi media.
La paternità dell’uso di questo termine nel gergo politico è attribuita a Mino Fuccillo, che lo introdusse – peraltro impropriamente – in un’intervista che fece per Repubblica a Massimo D’Alema, il 28 ottobre 1995. Del resto, un esempio di inciucio, sempre per rimanere in quegli anni, è quello che Cossiga definì il “patto della crostata”, il presunto accordo sulle riforme costituzionali che, a giugno 1997, proprio D’Alema fece con Marini, Fini e Berlusconi, a casa di Gianni Letta, dove pare venisse consumato una deliziosa crostata fatta dalla signora Letta.
Da qui la felice definizione di Cossiga. Da allora la parola si legge e si sente ovunque, ma purtroppo di inciuci è piena la storia, basti pensare al famoso “connubio” tra Cavour e Rattazzi, nel 1852. Sempre di accordo tra Destra e Sinistra si trattava, per escludere le ali estreme del Parlamento e convergere verso un Centrodestra e un Centrosinistra sulla base di un programma liberale e di difesa dello Statuto albertino. Solo che si chiamava in un altro modo. La storia sarebbe un’ottima maestra, se ci fossero scolari attenti.
Oggi questa parola si sente e si legge ovunque. Il “no all’inciucio” è il cavallo di battaglia degli opposti schieramenti politici, che peraltro sanno benissimo essere una solenne presa per i fondelli, visto che dopo le lezioni del 4 marzo, l’accordo è la forca caudina sotto la quale deve passare chiunque intenda governare. Inevitabile che sarà l’inciucio a farla da padrone. Possiamo andare a caccia di tutte le possibili definizioni: accordo, compromesso (da non confondere con quello “Storico”, di cui ha scritto Giorgio Frasca Polara sulle pagine di Tessere), accomodamento, intesa, patto, finanche alleanza e coalizione, ma il timore è che sempre di inciucio si tratti.
L’ingresso prepotente di questa parola nel linguaggio giornalistico ha messo da parte e scalzato il vecchio intrallazzo, con cui in passato venivano definiti gli accordi sottobanco. Anche in questo caso è un termine dialettale, di origine siciliana: ntirillazzu o ntrallazzo, utilizzato in particolare durante la seconda guerra mondiale per indicare per un intreccio di interessi per lo più di natura economica, effettuato con l’imbroglio e l’illegalità. Probabilmente legato al mercato nero, il termine è durato per anni e tutt’ora si usa nella lingua italiana.
Sia da inciucio che da intrallazzo sono nati verbi e aggettivi di uso comune – inciuciare, intrallazzare, inciucione, intrallazzone – riferiti a azioni o persone che fanno del maneggio e dell’intrigo il loro pane quotidiano, nella vita di tutti i giorni, nel lavoro, negli affetti. Con inciucio e intrallazzo si definiscono anche le relazioni extracononiugali, tanto per ricordare che non va bene e non si fa!