ENERGIE IDEE VISIONI

L’assordante pieno che ci circonda

Oggigiorno ai nostri messaggi più profondi, tornano pochissimi e rari echi. Per sentire il suono della eco ci vuole uno spazio vuoto e noi invece siamo immersi in un fittissimo pieno. L’eco che si lancia da un’altura verso la valle sottostante torna solo se non c’è alcuna barriera.

I nostri giorni trascorrono in un pieno non solo fitto, ma spesso anche assordante, stordente e contribuisce a distorcere i dati di realtà. In taluni spazi è un correre e rincorrersi veloce di voci, messaggi, stimoli, fascinazioni.

Non penso solo al negativo. Siamo circondati da meraviglie della tecnologia, che tali restano anche se nemmeno ci facciamo più caso.

Mentre le mie dita scorrono e premono leggermente, come ora, sulla tastiera, posso richiamare immagini di un attimo prima o del tempo trascorso, paesaggi e volti di persone care che si presentano, senza la fatica di richiami alla memoria, scrutare le mille suggestioni del sapere di qualunque età dell’uomo. Tutto è più facile e non richiede lunghi esercizi.

Ecco, il pieno è fatto di meraviglie. Un bel pieno, frutto di un tempo che si dilata all’infinito. Ma proprio non riesco a dimenticare che questo pieno poco o nulla assomiglia al senso di compiuta pienezza di sé che l’essere umano raramente raggiunge e che quasi sfiora la felicità. Senso che a dire il vero è più dell’età matura che della giovinezza.

Riempire e lasciarsi riempire i propri spazi di vita richiede tuttavia tempi veloci, sforzi di adattamento che mal si combinano talvolta con le nostre capacità, ma soprattutto con le nostre fragilità.

L’irruzione delle tecnologie di comunicazione rapide degli ultimi decenni ha in buona parte frantumato la nostra capacità di attenzione profonda. Siamo molto attenti a ricevere risposte sempre raggiungibili da tutti con un tocco di tasto, siamo attenti ai mille segnali di superficie, agli squilli, ai cinguettii dei nostri apparecchi.

Sempre più attenti e sempre più spaventati all’idea di perdere la grande onda che tiene connessi al mondo virtuale che ci circonda.

Siamo insieme persone più forti e nello stesso tempo più deboli e insicure, sempre in costante allarme, continuo, sottile, perciò invasivo, mentre il nostro cervello è costruito per la profondità e per ritmi più lenti. Allontanarlo da questa condizione naturale lo pone in uno stato di perdurante instabilità.

Non si tratta di essere contro la tecnologia, ma di valutare quanto la tecnologia serva a noi e soprattutto la nostra capacità di esercitare su di essa un governo.

Io so bene che sono anche le macchine a fare la storia, ma sono e restano macchine che l’uomo ha creato solo con la sua testa, con il fuoco del suo ingegno, delle sue passioni, con gli ideali, con le utopie.

Sembra oggi sparito lo stupore, l’incanto per ogni minuscolo frammento di vita, di natura, di bellezza che si va scoprendo. Se manca lo stupore, che rende la vita più lieve, non c’è entusiasmo, non c’è gioia. Quello stupore che ti fa sentire dentro l’anima di un bambino.

Ripenso allo straordinario e profetico messaggio che Pasolini lanciò quasi mezzo secolo fa, perché i poeti sono spesso profeti: «La tecnologia porterà enorme sviluppo, ma non progresso dell’uomo».

Ecco perché ho bisogno di messaggi di cui ritorna l’eco. Quali? I pensieri, le emozioni dell’altro, la circolarità di libere voci per creare conoscenza, per imparare a far luce su aspetti lasciati in ombra dal nostro vivere d’oggi.

Un’impresa in tempi così chiusi nel rancore e nel particolare. Ascoltare e ascoltarsi: non è facile.

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