LA PAROLA

Limite

Per dire della parola limite, che in latino indicava i sentieri obliqui e tortuosi in mezzo ai campi, si può partire da uno dei suoi sinonimi. Annovera: confine, barriera, estremità, demarcazione; e poi linea estrema, ultimo grado, valore massimo, margine, bordo; quindi soglia e figurativamente limitazione, freno, blocco, ostacolo, condizionamento, condizione, divieto, proibizione, vincolo, restrizione, inibizione. Ed anche termine.

In entrambi i modi – termine, appunto, e limite – i Romani chiamavano «quelle pietre che segnavano i confini, le quali erano sacre e non potevano rimuoversi senza delitto, essendo esse sotto la speciale protezione di una divinità pur esse detta Limite o Termine». Questo si legge nel Vocabolario etimologico della Lingua italiana di Ottorino Pianigiani.

Scriveva nel 1528 Erasmo da Rotterdam, in un mirabile testo che si chiama Lamento della Pace: «Un tempo i confini dei campi si contrassegnavano con un particolare segnale; si trattava di una pietra sporgente dal terreno, che leggi avite prescrivevano fosse inamovibile; da esse Platone riporta il detto: Non smuovere ciò che non fosti tu a collocare (…) Questo termine come sta scritto negli Annali di Roma fu il solo che non cedette di fronte a Giove».

Be’… se pure Giove si piegò dinanzi ad essi, c’è ragionevole motivo di credere che qualche rispetto vada loro portato.

Se lo si spoglia dei significati costrittivi che inevitabilmente porta con sé, il limite è anche ciò che si può oltrepassare, l’estremità che si può raggiungere, il freno che si può vincere. È lo stimolo a far di più, spesso di meglio. E di essi dunque, dei limiti, c’è bisogno. Si può restare in apnea nella vasca da bagno ogni volta qualche secondo più della volta precedente, sapendo tuttavia che i polmoni hanno bisogno d’ossigeno.

Ed il superamento dei propri limiti è alla buon ora fare i conti con la zavorra che ci si porta appresso, con quanto c’è rimasto appiccicato addosso come polvere impiastricciata al sudore e il più delle volte nemmeno per propria volontà.

Tanto quello stimolo a far di più, quanto quel lavorìo a non restar inchiodati dov’era il pantano, alla lunga insegnano che limiti ce ne sono – quelli invalicabili – e quelli vanno rispettati. Quanto più proficuo saperseli porre che non trovarsi sottoposti a doverli rispettare! Perché oltrepassarli danneggia chi ci sta d’intorno e noi stessi in primo luogo, e avrebbe detto Epicuro, non dà nemmeno piacere. Consapevoli che se non si rispetta il limite c’è il termine. Che è sinonimo di fine. Oltre non c’è niente.

 

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