CRITICA LIBRI

Lo sguardo di Safari

Oltre l'antropocentrismo: un saggio per riconsiderare, su nuove basi, il rapporto uomini-animali

«Sono andata in Uganda, nella foresta di Bwindi, al confine con il Congo. Sullo sfondo, i monti Virunga, dove visse e morì Diana Fossey. Ho trascorso una settimana riuscendo ad avere contatti quotidiani con la famiglia Nkuringo. Ho conosciuto Nkuringo e Safari, i due silverback. E poi Kisoro, Rafiki, Bikini e Bahati, giovani maschi. Kwitonda, madre di Kwesima». Monica Gazzola, avvocato penalista, una laurea in Filosofia, fa parte del Centro Studi sui Diritti Umani dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.  Nel 2006 ha trascorso un periodo di studio sui gorilla di montagna in Uganda, e ne racconta, nel saggio Oltre l’antropocentrismo. Contributi a un logos sull’animalismo, edito alcuni mesi fa dal Gruppo Editoriale Viator, scritto con il divulgatore scientifico, esperto di analisi transazionale e pragmatica della comunicazione Roberto Tassan. Gazzola ha, inoltre, ideato e coordinato il Progetto Lampedusa, attività delle Istituzioni Forensi a tutela degli immigrati, e fa parte della List of Counsels of Victims della Corte Penale Internazionale dell’Aja.  Vegetariana, poi vegana, nel suo lavoro mette costantemente in relazione i crimini compiuti contro gli animali – in virtù di una (più o meno dichiarata) supremazia dell’essere umano sulle altre specie – con i crimini che gli uomini esercitano nei confronti di altri uomini: «La differenziazione mediante contrapposizione, con la riduzione dell’altro a una categoria indifferenziata, è un modello tuttora operante anche all’interno della nostra (apparentemente) pacifica ed egualitaria società italiana – scrive l’autrice – Basti pensare al termine “extracomunitario” (…), nel quale è indiscutibilmente sottesa una differenziazione non solo territoriale, ma anche (e soprattutto) razziale». Una correlazione inquietante e più che mai d’attualità, neppure implicita, che già Theodor Adorno – tedesco, ebreo, costretto all’esilio dal nazismo – aveva posto in luce: «Auschwitz inizia – ribadisce il filosofo – ogni volta che qualcuno guarda a un mattatoio e pensa: sono soltanto animali».

La sopraffazione sull’Altro connota e struttura l’intera vicenda dell’umanità: in particolare, il ventesimo secolo – sostengono gli autori di Oltre l’antropocentrismo – ha segnato una tappa mostruosa  in questa procedura, con l’invenzione e la pianificazione dei campi di sterminio nazisti. Anche Isaac Bashevis Singer, in L’uomo che scriveva lettere, sostiene che, per gli animali, Treblinka dura in eterno. Secondo Gazzola, la cosiddetta ossessione dell’unicità che contraddistingue il genere umano ha radici lontane e ben radicate nel sentire collettivo: il testo fondamentale, ancor oggi utilizzato a giustificazione della supremazia dell’uomo sugli animali, è il passo della Genesi (Gen. I, 28) in cui Dio si rivolge ad Adamo ed Eva, dopo averli creati: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra. Soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni  essere vivente che striscia sulla terra». In realtà, come ha ben chiarito l’ex priore di Bose Enzo Bianchi (uno dei pochi esponenti della Chiesa Cattolica a respingere il dogma del legittimo sfruttamento degli animali), il fraintendimento è profondo. Secondo una corretta esegesi – ricorda Monica Gazzola – il verbo kavash, più che “soggiogare”, significherebbe entrare in contatto con la terra in un rapporto armonioso, ordinato, colmo d’amore; allo stesso modo radah, più che “dominare” sarebbe da intendersi come “reggere”, “guidare”, “pascolare” e, per traslato, “mantenere la pace”. Eppure la storia dell’intera filosofia occidentale appare coincidere sostanzialmente con la storia dell’antropocentrismo.

Il confine imposto dall’uomo nei confronti degli animali (così come nei confronti del proprio essere animale) passa necessariamente – questa una delle tesi più interessanti del saggio – attraverso il linguaggio. Come ha sostenuto, a più riprese, l’etologo Danilo Mainardi, l’accanimento grammaticale con cui molti studiosi di psicologia animale e comparata, linguisti e filosofi stimolano le loro cavie, sottoponendole agli esperimenti più bizzarri e complicati, non sarebbe altro che il tentativo di ribadire la superiorità della nostra specie. Eppure – riflette Gazzola – nel profondo del sentire umano esiste il ricordo (o il sogno) di un tempo in cui animali e uomini parlavano la stessa lingua. Si pensi alla biblica cacciata dal Paradiso Terrestre, oppure alla storia di re Salomone e del suo anello, ripresa da Konrad Lorenz nel suo capolavoro sull’etologia. Soprattutto la scimmia rappresenterebbe la nostra linea d’ombra, la nostra immagine riflessa allo specchio. Nel 2013, il Governo spagnolo ha ripreso l’esame della proposta di legge (già fortemente voluta dall’esecutivo Zapatero), volta a garantire alle scimmie antropomorfe – all’interno del Paese e sul piano internazionale – il diritto di non essere maltrattate. In quell’occasione, la stampa conservatrice europea ha aspramente criticato l’iniziativa spagnola, utilizzando toni offensivi.

Nonostante tutto, nonostante il faticoso cammino verso una maggior attribuzione di dignità e tutela, gli autori si pongono interrogativi fondamentali: è possibile modificare il rapporto tra gli esseri viventi, utilizzando criteri (e valori) che non appartengano rigidamente alla nostra concezione del mondo? In sostanza, è possibile non essere antropocentrici? Monica Gazzola racconta la propria esperienza africana, a contatto con la famiglia Nkuringo, un gruppo di gorilla; racconta cosa significhi incrociarne lo sguardo: «I gorilla cresciuti in un ambiente (il più possibile) simile a una comunità familiare, non tenuti in gabbia e trattati con affetto e attenzione, – chiarisce –  dimostrano accentuate capacità di apprendimento e di comunicazione, e manifestano una vita emotiva piena e intensa». Così l’incontro con Safari, un esemplare di maschio adulto, tra quelle montagne, poi finito in copertina del volume, diventa simbolo di un’ipotesi di apertura e di condivisione altrove irrealizzabile.

Dal canto suo, Roberto Tassan propone, nella seconda parte del saggio, un’indagine significativa sui dati del mercato degli animali domestici, un vero e proprio boom internazionale. Negli Stati Uniti, ad esempio, nel solo 2015, sono stati spesi cinquanta miliardi di dollari per la cura ed il sostentamento degli amici a quattro zampe (salvo poi – contraddizione massima – far finir nel piatto nove miliardi di capi  nello stesso periodo): «Come spiegare – si chiede Tassan – questa evidente contraddizione che gli psicologi chiamano “paradosso della carne”, provocato da un altro fenomeno conosciuto come “dissonanza cognitiva”, che definisce l’incongruenza tra convinzioni morali e comportamento?». Con ogni probabilità, riflette l’autore, molti di coloro che si nutrono di carne accettano (o ignorano) le condizioni disumane degli allevamenti intensivi, le torture dell’alimentazione forzata, l’immobilità a cui gli animali sono costretti. Pochi, peraltro, considerano il riflesso ecologico del problema. Gli allevamenti industriali di capi destinati alla macellazione causano la produzione di enormi quantitativi di gas inquinanti (oltre il 14,5 per cento dell’intero sistema). Secondo il Center for Disease Control and Prevention degli U.S.A., a livello mondiale, le pratiche intensive in uso sarebbero anche la causa diretta di oltre 76 milioni di malattie e di oltre cinquemila decessi all’anno. Per il Weizmann Institute of Science di Rehovot (Israele), è la carne di manzo a possedere il peggior rapporto tra l’apporto nutrizionale e l’impatto ambientale (sono necessari ventotto volte più territorio, undici volte più acqua, sei volte più concime, e si producono cinque volte più emissioni di gas serra per la produzione dello stesso numero di calorie rispetto ai latticini, al maiale, al pollame e alle uova). Monica Gazzola e Roberto Tassan, ciascuno dal proprio punto di vista, propugnano – per uscire dall’impasse di un antropocentrismo problematico, vissuto ai limiti dell’ossessione – un cambio radicale di prospettiva: scegliere, ad esempio, di diventare vegetariani, e poi vegani. Una via già segnata: secondo il Vegetarian Resource Group statunitense, i vegetariani sono già l’1,7 per cento della popolazione, mentre i vegani raggiungono circa l’1,6, per un totale di circa otto milioni di consumatori. In Italia, invece, secondo dati EURISPES (Istituto di studi politici, economici e sociali), i vegetariani costituiscono una percentuale del 7 per cento e i vegani si attestano intorno all’1 per cento, con un andamento in leggera, ma costante crescita. Con buona pace dei carnivori, anche se la polemica è sempre accesa, la sensibilità va mutando. Come conclude Monica Gazzola «fare filosofia è un lavoro su se stessi, sul proprio modo di vedere».