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Macaluso, 95 anni di passione. Grazie

Emanuele Macaluso
Di fronte ad Emanuele Macaluso che compie 95 anni nel giorno di primavera, c’è solo da alzarsi per una standing ovation. E che gli vuoi dire? E cosa vuoi ancora chiedergli? Che ci ripeta la storia d’Italia e della sinistra? L’ha fatto tante volte, in questi decenni, con libri, articoli, saggi, interviste, comizi, discorsi, nelle piazze e nel parlamento, che adesso sarebbe davvero riduttivo farne una sintesi. Persino impossibile. So per certo, però, per dirne una, che Emanuele Macaluso non rinuncerebbe mai a raccontare e raccontare ancora quel giorno del 1944 quando a 23 anni si trovò nella piazza di Villalba mentre i mafiosi di don Calò spararono ad un comizio di Girolamo Li Causi. Perché, in fondo, fu il suo vero e proprio battesimo del fuoco. Una specie di prima medaglia della sua battaglia politica e sociale in una terra aspra, complicatissima, feroce ma bellissima. Come quell’altra volta, alla fine di un comizio contro la monarchia e per il sì alla Repubblica, quando venne avvicinato dal comandante della stazione dei carabinieri, fedele ai Savoia, per dirgli: «Avrei potuto spararle». E, lui, calmo e placido: «Grazie per non averlo fatto».

Con Macaluso e la sua vicenda personale e politica, che si intreccia davvero con le porzioni di due secoli, si potrebbero trascorrere giornate intere. E sprofondare, riemergere, nuotare, riaffondare e tornare a galla nel mare tumultuoso della Storia. Ma con lui c’è anche il piacere, quasi il divertimento, di toccare vicende e passaggi del tempo con episodi lievi, di una leggerezza così gradevole che non pensi possa appartenergli. Una prova? Se si chiede a Macaluso perché tifi per il Napoli, lui racconta che, da ragazzino, si trovò a far parte di una squadretta a Caltanissetta, la sua città natale. Stava nei pulcini della Nissa e l’allenatore, che gli faceva fare la mezzala, era napoletano. Da allora gli è rimasta questa passione.

A cavallo tra gli anni 50 e 60 partì in treno da Roma alla volta di Mosca: accompagnava Togliatti e Pajetta in missione ufficiale. Prima tappa a Vienna ospiti dell’ambasciatore sovietico che li rifornì di cestino da viaggio carico di viveri. Poi quel treno, una volta entrato in territorio cecoslovacco, si fermò alla stazione, dopo il confine austriaco, di una piccola cittadina. Sulla banchina c’era una banda e schierati c’erano tutti i dirigenti della comunità, sindaco in testa. S’era saputo che Togliatti, il capo dei comunisti italiani, era su quel treno ed erano scattati i festeggiamenti. La delegazione fu invitata a scendere e in corteo tutti si avviarono verso il municipio dove era già allestito un solenne banchetto. Saluti, brindisi, urrah! urrah!, mentre il treno passeggeri attendeva. E, poi, il pranzo. E chi mangia dopo che avevano fatto fuori il cestino dell’ambasciatore? Racconta Macaluso: «Togliatti poteva, certo, rifiutarsi ma qualcuno doveva sacrificarsi e Pajetta accampò i suoi noti mal di stomaco. Mi dissero, tu sei il più giovane, mangia altrimenti si offendono. E mi sacrificai». Il viaggio proseguì ma con un’altra sorpresa. Al confine con l’allora Urss, per via del diverso scartamento dei binari, ci fu il cambio di vetture. Da Mosca, per l’illustre ospite in arrivo, il Pcus aveva mandato la carrozza dello zar. E fu così che il giovane Macaluso da Caltanissetta entrò alla stazione Bieloruskaja sul treno dell’imperatore.

Di Macaluso c’è traccia ovunque e non starò qui a stendere la classica biografia. E come si potrebbe di uno che sta ancora oggi “sulla palla”, interviene nel dibattito pubblico, segue con attenzione i travagli della sinistra? Qui c’è ancora tantissimo da raccogliere. Certamente, nella bella intervista che ha pubblicato lunedì scorso il “Corriere della Sera” (una intera pagina a firma di Monica Guerzoni) c’è molto su cui riflettere. Specie, ed è questo che colpisce più di ogni altro aspetto, se vedi con quale forza e determinazione partecipa, nei testi che scrive, nelle interviste che concede, alla battaglia politica. I ricordi e i fatti del passato più o meno lontano gli servono per commentare l’oggi, lo scontro politico di questi giorni. Macaluso non ha più un giornale su cui scrivere e ha convenuto da qualche anno di farlo – incredibile dictu – su Facebook. Quando gli fu proposto, reagì con un piccolo sospetto ma ebbe un guizzo: poteva tornare a scrivere e dire la sua. Non chiese tempo per pensarci. Si buttò. E così ogni giorno, salvo la domenica o quando ha qualche acciacco, consegna il piccolo editoriale alla sua bacheca che lui chiama “questo spazio”.
Macaluso offre, ogni giorno, un’analisi politica, si permette a volte anche qualche stroncatura, dedica un elogio, impartisce una critica severa. Ma soprattutto ha un principio che non trascura mai: offrire un contributo al faticoso processo di ricostruzione della sinistra e delle forze del centrosinistra. Ed ha una forte nostalgia, che si trasforma in rabbia, quando deve prendere atto che i partiti, le organizzazioni politiche di massa non ci sono più. Qualsiasi riferimento alla teoria del “partito liquido” lo manda in bestia e non sopporta che, nel campo della sinistra, si sia andata perdendo sempre di più la voglia di far delle battaglie politico-culturali sui valori e le idee della sinistra.

Di tutto questo si trova ampio riscontro nei corsivi su Facebook tanto che, all’inizio di questa nuova avventura da pubblicista, Macaluso ha convenuto di raccogliere in un libro un certo numero dei suoi corsivi. Che sono legati l’un l’altro dalla voglia, mai sopita, di dare una mano, anche da osservatore, per tenere alto il livello della battaglia politica, sociale e civile. Da uomo che una volta aveva un partito, e in quel partito è cresciuto e ne è diventato uno dei massimi dirigenti e che adesso, da oltre dieci anni, quel partito, un partito, non ce lo ha più. Quando nacque il Pd scrisse un volumetto dal titolo Al capolinea, per dire che quel partito nasceva e moriva subito essendo il frutto di un matrimonio a freddo tra due componenti politiche che si è trasformato in un “agglomerato elettorale” dominato dall’ansia di governo e dalla battaglia tra capibastone. Quel che è successo gli ha dato ragione. Ora, dopo la vittoria di Zingaretti e la sconfitta di Renzi e dei renziani, Macaluso confida su Zingaretti che considera più in sintonia con il mondo della sinistra molto di più del suo predecessore. Ma è prudente e vigile. Invita sempre a dedicare impegno ed ogni sforzo per ricostruire l’unità della sinistra. E, soprattutto, per ritrovare il contatto con il popolo. Sì, a Macaluso piacciono le sezioni. Ci andrebbe ogni giorno se ne avesse una sotto casa, nel suo quartiere di Testaccio a Roma dove incontrare i giovani e magari parlargli di socialismo. E pure, sognando, avere un giornale su cui tornare a scrivere coma ha sempre fatto. Davvero significativa la sua battuta nell’intervista al “Corriere” quando ha ricordato l’occasione di un dono ricevuto da Guttuso in qualità di direttore de “l’Unità”. Ridendo ha detto: «Quando i giornali erano giornali…». Il cuore batte sempre lì.

L’articolo è stato pubblicato anche da “Strisciarossa” con il titolo La primavera di Macaluso, il giovane che visse il Novecento e vive il Duemila

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