LA PAROLA

Mansplaining

Chi è che può pensare di essere più esperto in Termodinamica di una astronauta della Nasa? Oppure di spiegare come si va in bicicletta a una campionessa olimpica di ciclismo? Chi può dire a una astrofisica di studiare un po’ di “vera scienza”?

Nei casi citati e realmente accaduti, la risposta è: un uomo. Che in quel momento sta facendo  mansplaining, parola inglese intraducibile in italiano se non al prezzo di una complessa perifrasi: «Un uomo che spiega qualcosa a una donna, con fare paternalistico e l’atteggiamento di chi parla a una persona che si ritiene non capire», si legge sull’Urban Dictionary, aggiungiamo anche con l’assoluta certezza di avere ragione. La scrittrice Violetta Bellocchio ha provato a farne una traduzione più sintetica coniando l’espressione “spiegazione virile”, ma non sembra aver avuto successo.

Mainsplaining, infatti, è un portmanteau, una parola-macedonia, una sincrasi tra il sostantivo man, uomo, e il verbo to explain, spiegare, nata nel 2008 da una felice intuizione della scrittrice americana Rebecca Solnit, nell’articolo Gli uomini spiegano le cose, pubblicato sul “Los Angeles Times”.

Di  mansplaining si parla di nuovo in questi giorni perché è uscito anche in Italia il libro in cui la Solnit ha raccolto una serie di suoi articoli, tra cui quello citato. Ne ha dato notizia Giovanni De Mauro sul settimanale “Internazionale”, riportando anche un aneddoto emblematico raccontato dalla giornalista, in seguito al quale inventò la parola mansplaining.

Scrive De Mauro: «La scrittrice racconta che anni prima a una festa il padrone di casa, un ricco pubblicitario, si era fermato a parlare con lei e le aveva detto: “Ho sentito che ha scritto un paio di libri”. “A dire il vero ne ho scritti molti”, aveva risposto Solnit. E lui, con il tono di chi “incoraggia una bambina di sette anni a raccontargli come vanno le lezioni di flauto”, aveva aggiunto: “E di che parlano?”. A quel punto lei aveva citato il suo ultimo libro, sul fotografo Eadweard Muybridge. E sentendo quel nome l’uomo l’aveva interrotta chiedendole se conosceva un importante lavoro su Muybridge appena uscito, senza rendersi conto che era proprio il libro di Solnit».

Una volta presa coscienza, e di questo ringraziamo la giornalista, è emerso come il mainsplainig stia diventando un problema anche nell’ambiente di lavoro, tanto che lo scorso anno, in Svezia, il più grande sindacato del pubblico impiego ha aperto per alcuni giorni una linea telefonica dedicata a chi voleva sfogarsi per il fastidio e il disagio di aver subito una spiegazione non richiesta.

Dall’alta finanza, allo spazio, dai Giochi olimpici alle elezioni presidenziali americane, laddove le donne arrivino a conquistare posizioni di rilievo, il sessismo che da sempre le precede non tarda a farsi sentire, anche attraverso manifestazioni di questo tipo.

Il mansplaining si verifica ovunque: in famiglia, tra amici, in ambiente scolastico, sui social dove, è noto, si danno appuntamento i maggiori esperti “di tutto”. Un caso del 2016 su Twitter è quello che ha coinvolto l’astronauta americana Jessica Meir che aveva pubblicato un video girato durante una simulazione e aveva scritto: «Per la prima volta sono andata a più di 19mila metri di altezza, la zona equivalente allo spazio, dove l’acqua bolle spontaneamente! Fortunatamente ho la tuta!». Un suo follower, Casey O’Quin le aveva risposto scrivendo: «Non direi spontaneamente. La pressione nella stanza è sotto la pressione di vapore dell’acqua a temperatura ambiente. Semplice termodinamica». Ricoperto subito dopo di insulti e afferrato il concetto di aver fatto una figuraccia planetaria, l’uomo ha cancellato il tweet.

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