LA PAROLA

Staccare

Il verbo “staccare“, dice l’Enciclopedia Treccani, è un derivato di “tacca” che è un «piccolo incavo ottenuto sul margine di un oggetto con due tagli convergenti così da assumere, solitamente, una forma a V».

Perciò il suo significato principale è quello di «separare, disgiungere, levare via una cosa da un’altra alla quale è attaccata, collegata, appesa o comunque congiunta». Si stacca un quadro dalla parete, il cerotto, che spesso invece strappa, dalla pelle, il collo da una camicia e due assi incollate insieme.

Chi ne ha stacca assegni, chi è onesto la ricevuta, chi incosciente la pagina da un libro.

Spesso lo si fa con violenza, come quando – cosa che chiunque ha certamente sperimentato – con un fendente si stacca la testa dal busto alla maniera di Perseo o con un morso si stacca un orecchio seguendo le orme di Mike Tyson che, a onor del vero, si limitò ad una cartilagine, ma non per questo ha avuto quel che si dice un atteggiamento sportivo.

Senza procurare tagli o incisioni a V si stacca un armadio dalla parete e una barca dalla riva e quest’ultima accezione ai trasporti e alla mobilità ha dato vita allo splendido titolo di uno splendido romanzo di Daniele Del Giudice, Staccando l’ombra da terra, che narra degli aerei, del volo, del sogno di Icaro, a cui l’autore, con Marco Paolini, ha fatto seguire uno spettacolo teatrale altrettanto magistrale, I-TIGI Canto per Ustica, che ancora sta nell’alto dei cieli, questa volta su una tragedia che reclama ancora verità: quella del DC9 che il 27 giugno 1980 precipitò nel Mediterraneo con 81 passeggeri a bordo.

Del resto si staccano i vagoni dal treno e staccare i cavalli – detto anche in maniera assoluta “staccare” – sta ad indicare tanto scioglierli dal carro o dal calesse per lasciarli liberi e rimetterli in stalla quanto un entusiasmo verso attori, cantanti, ballerine o altri personaggi popolari, da parte della folla, la quale si metteva in panni equini nel tiro della carrozza.

Si staccano le parole pronunciandole in modo da far sentire la separazione fra le sillabe che le compongono e tra l’una e l’altra, e altrettanto si può fare con le note musicali, suonandole in maniera che il suono di ciascuna non si fonda con quello della successiva, e questo si chiama l’effetto dello staccato.

Quando si è innamorati non si staccano gli occhi dalla persona amata, e se si è un po’ cafoni non le si staccano gli occhi di dosso.

C’è poi il riflessivo, quello che si impiega per dire che giunti ad una certa età, non così lontana, ci si debba staccar dalla poppa materna, intendendo disgiungersi, venire via, allontanarsi. Coinvolto il petto si può tirar dentro anche il parapetto, dal quale ci si può staccare adagio o bruscamente.

Si staccano del resto i bottoni, i cornicioni, l’intonaco, i lembi delle buste sprovvisti di sufficiente colla, le croste dalla pelle.

Quelli su cui tuttavia ci si voleva qui soffermare sono alcuni significati figurati. Ci si stacca dalla famiglia, dagli amici, da una persona o da una cosa cara, anche dai luoghi o dai ricordi, abbandonandoli per sempre o anche solo momentaneamente.

Nei luoghi di lavoro si stacca quando si finisce il turno e di qui probabilmente deriva l’uso del verbo per dire che ci si prende una pausa, si distoglie l’attenzione, ci si mette qualcosa in mezzo.

E poi, ci si ricordi, chi si stacca è chi risalta, ha rilievo, spicca tra gli altri, compare in primo piano.

Ecco, ora potete staccare la spina. In senso figurato, sia chiaro.

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