IDEE VISIONI

Pasolini e la società liquida di Zygmut Bauman

«Non siamo più di fronte a tempi nuovi, ma a una nuova epoca della storia umana». Questa frase di Pier Paolo Pasolini, tratta dall’articolo Il vuoto del potere, pubblicato nell’ormai lontano 1975 sul “Corriere della Sera”, suona ancora oggi di estrema attualità. Riassume in tre parole lo sconcerto per la “mutazione antropologica” che si sta manifestando in tutta la sua interezza e rende ragione dello smarrimento di intellettuali, sociologi e letterati impegnati a trovarne la logica. Pasolini riteneva, allora, che si fosse verificata un’accelerazione improvvisa nei processi di cambiamento socio-economici, tanto rapida e violenta da creare una brusca discontinuità nell’arco di pochissime generazioni. «Tra il 1961 e il 1975 qualcosa di essenziale è cambiato: si è avuto un genocidio. Si è distrutta culturalmente una popolazione. […] Se io oggi volessi di nuovo girare Accattone – scrisse in un corsivo, sul quotidiano di via Solferino, in occasione della prima televisiva del film – non potrei più farlo. Non troverei più un solo giovane che fosse nel suo corpo neanche lontanamente simile ai giovani che hanno rappresentato se stessi in Accattone».

Allo stesso modo nell’articolo del 10 giugno del 1974, Gli italiani non sono più quelli (successivamente raccolto in Scritti corsari con il titolo Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia), scriveva che i «ceti medi sono radicalmente – direi antropologicamente – cambiati: i loro valori positivi non sono più i valori sanfedisti e clericali ma sono i valori (ancora vissuti solo esistenzialmente e non “nominati”) dell’ideologia edonistica del consumo e della conseguente tolleranza modernistica di tipo americano. […] La grossa industria italiana plurinazionale e anche quella nazionale degli industrialotti voleva che gli italiani consumassero in un certo modo e un certo tipo di merce e per consumarla dovevano realizzare un altro modello umano. Ecco, un vecchio contadino, tradizionalista e religioso, non consumava delle sciocchezze reclamizzate dalla televisione. Ora bisognava fare in modo che invece le consumasse».

Aveva visto lungo, Pasolini. La nuova cultura di massa della società dei consumi è regolata da leggi interne, è improntata a una sorta di “follia pragmatica e conformista” e si impone blandendo gli individui anziché assoggettandoli, come accadeva invece prima della nuova epoca. L’omologazione che ne risulta è profonda, perché si sviluppa attraverso il lento svuotamento delle dimensioni vitali e creative per eccellenza, come quella linguistica, tramite una graduale riduzione della vita a “cosa”, ma la stessa “cosa” per tutti. Si realizza, quindi, una complessiva riduzione delle alternative socialmente accettabili verso un unico paradigma esistenziale, inautentico e forzatamente unanime.

Ad oggi, il processo di mutazione antropologica di questa società è confluito in un paradigma sociale completamente nuovo, efficacemente definito dal sociologo polacco Zygmut Bauman come società moderno-liquida, dove il sistema consumista produce modelli um

Zygmut Bauman

ani flessibili alle necessità di mercato, mentre le identità individuali sono aggredite dal tritacarne mediatico e le relazioni si assottigliano fino a perdere consistenza. Il risultato è una vita e una società senza forma, liquida appunto, che non fornisce nessun sostegno ideale, morale, culturale ai singoli. «Il terreno su cui poggiano le nostre prospettive di vita – scriveva Bauman nel saggio del 2008, Modus vivendi – è notoriamente instabile, come sono instabili i nostri posti di lavoro e le società che li offrono, i nostri partner e le nostre reti di amicizie, la posizione di cui godiamo nella società in generale e l’autostima e la fiducia in noi stessi che ne conseguono».

Le certezze sono sostituite dall’edonismo totale costruito sull’agire adesso, subito e in fretta. La velocità annichilisce il tempo interiore e la persona diventa la mera sommatoria di esperienze e momenti orfani di senso. La mutazione antropologica è stata enormemente potenziata dai nuovi media che occupano ogni spazio umano e relazionale, abbattendo i confini individuali, spalancano un vuoto uniforme, a bassa entropia; ogni momento viene privato della sua unicità in cambio di false promesse.

«La tecnologia promette la salvezza – scrive Tonino Cantelmi, psichiatra e studioso di tecnodipendenza, nel suo Tecnoliquidità, del 2013 – facendo capire che tutti questi problemi si possono risolvere, rinunciando alla relazione face to face e proponendo un mondo virtuale, ricco di emozioni, di narcisismo, di ambiguità e di mascheramento». Questi processi si sono sviluppati fino a produrre, prima, una generazione di nativi digitali e, ora, di mobile born. Ovvero bambini che imparano parallelamente a scrivere e a utilizzare computer, tablet e smartphone e, in un domani prossimo, dispositivi per funzioni di realtà aumentata.

L’homo digitalicus descritto da Cantelmi, è un uomo la cui condizione esistenziale è la connessione always on, che nell’arco di pochissime generazioni porterà alla destrutturazione degli schemi cognitivi tradizionali. Al loro posto c’è un universo ipertestuale in cui gossip, contenuti virali, (dis)valori etici, comicità demenziale e selfie convivono con tutto lo scibile umano a portata di click, in una melassa mentale confusa e inestricabile, senza gerarchie e categorie concettuali. Proprio questa confusione rende gli infiniti contenuti accessibili agli occhi, inaccessibili alla riflessione, al racconto, all’incontro e confronto con gli altri. Insomma, nella liquidità di oggi si assiste al rapido smottamento della capacità di comunicare e quindi di essere realmente compresi dagli altri.

Ognuno è infatti immerso nell’unica (ir)realtà multimediale, personalizzabile in “universo su misura”. Si tratta ad esempio della “mia bacheca Facebook”, elaborata da un’algoritmo che organizza contenuti e pubblicità in base a interessi e interazioni, allo scopo di massimizzare l’individuale dedizione al consumo. Si concretizza qui la condizione di incomunicabilità raccontata da Pirandello in Sei personaggi in cerca d’autore. «Come possiamo intenderci – scrive – […] se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro?».

L’impossibilità di comunicare annunciata da Pirandello, potenziata dalle caratteristiche inedite dei nuovi vettori della comunicazione, oggi è la morte della comunicazione. «La morte non è nel non poter comunicare ma nel non poter più essere compresi», sempre per citare Pasolini. La costituzione di mondi individuali – a dispetto delle apparenze – non comunicanti, come le monadi di Leibniz, determina l’impossibilità tecnica di una comunicazione autentica e creativa.