LA PAROLA

Pietismo

La parola pietismo entra nel vocabolario grazie a un omonimo movimento religioso, fondato nel diciassettesimo secolo dal teologo evangelico tedesco Philipp Jakob Spener (1635-1705). A parere dei pietisti, il protestantesimo era troppo dogmatico e formale e non dava abbastanza importanza all’esperienza interiore; secondo loro invece la fede andava vissuta come un sentimento, e la religiosità doveva essere un’esperienza personale da condividere con gli altri in modi non formali. Questa condivisione avveniva tramite gruppi privati che si riunivano per letture e scambi spirituali, in parallelo alle attività della Chiesa. Il movimento pietista si diffuse anche in Inghilterra e negli Stati Uniti, dove sopravvisse fino all’Ottocento.

Del termine pietismo, oltre al senso originario, ci dà un altro paio di significati il vocabolario on line della Treccani: «religiosità affettata, ostentata, solo apparente», e «atteggiamento di pietà e commiserazione esibita e spesso ipocrita». Il pietismo quindi assume anche significati opposti, che hanno a che fare con l’apparenza e con l’ipocrisia. Ed è proprio con questi due termini negativi di riferimento che si diffonde sulle pagine dei giornali italiani nel 1938, all’indomani delle leggi razziali volute e scritte personalmente da quel losco figuro – dittatore d’Italia e fondatore di un partito basato sulla violenza e la sopraffazione – dei quali in molti ancora difendono l’operato a distanza di oltre settant’anni, dimentichi o ignari della propria storia nazionale.

Pietismo, appunto: l’antesignano del buonismo. Giacomo Papi, autore di un recente libro intitolato Il censimento dei radical chic, ha scritto che il termine «pietismo», utilizzato nei giornali dopo il 1938 contro chi spendesse qualche parola in favore degli ebrei vessati dalle leggi razziali, è l’antecedente storico e linguistico diretto, quasi letterale, della parola buonismo. Anche Giorgio Cremaschi nell’articolo Pietismo 1938, buonismo 2018, lo stesso linguaggio di sempre del fascismo utilizza questa genealogia, individuandone però la radice che ritorna: il fascismo, che ahivoglia a dire che non c’è più, è una sostanza comune corriva e mefitica, non un’ideologia irripetibile, pur sconfitta dalla storia.

Abbastanza interessante anche la definizione che la rivista Focus aggiunge in fondo a un articolo sul movimento pietista di Spener: «La parola pietismo viene anche usata impropriamente per indicare un atteggiamento di compassione oppure di simpatia ingiustificata». Rispetto alle due definizioni negative del vocabolario Treccani, qui la compassione non è esibita e ipocrita, ma ingiustificata, e il termine pietismo usato impropriamente. Un segno preciso di come una modalità di comunicazione per assurdi si sia insinuata in qualunque ambito della conoscenza e dell’esperienza, stravolgendo il moto interiore che le muove in un senso che, quando non le capovolge, le mortifica nel significato più radicale di portarle alla morte. Morte della conoscenza e dell’esperienza, ma anche della ricchezza della lingua, impoverita a slogan che paiono missili terra terra: è il genere di comunicazione che va per la maggiore, che umilia l’intelligenza e riduce qualunque confronto a una lapidazione verbale a botte di frasi fatte, ormai così comuni e reiterate da suscitare una noia preventiva, dissuadendo anche i più pervicaci da un impossibile confronto dialettico. Nel frattempo, fra una sentenza e l’altra, fra un epiteto e l’altro, fra un ashtag e l’altro, cresce il baratro fra l’io e l’altro, fra noi e loro, fra l’idea e l’azione: chissà se assieme alle lingue muoiono anche le nazioni, oltre che i molti esseri umani abbandonati tra i flutti.