LA PAROLA

Povero

In un libro di cui non ricordo il titolo c’era scritto: «Il mondo si divide in due parti: i poveri e tutti gli altri». Secondo la definizione classica di ogni vocabolario che si rispetti l’aggettivo povero (con sinonimi quali meschino, misero, umile, sventurato, indigente etc, più diverse varianti quali povero di cosa,  povero di ingegno, povero di parole e via elencando) sarebbe riferito a persona o gruppo di persone che dispone di scarsi mezzi di sussistenza o che non ha sufficienti risorse economiche. Ma il mondo, si sa, cammina e trascina con sé i significati delle parole che mutano al mutare delle cose. Come scriveva Benjamin Martin, un inglese che si dilettava di linguistica, «…Nessuna lingua potrà mai essere permanentemente la stessa, ma sarà sempre in una condizione mutevole e fluttuante».  Ecco dunque che povero, nel caos della modernità, è diventato un termine polisemico (cioè con più significati) forse il più polisemico di tutti. Così polisemico da trasformarsi in tutto e il contrario di tutto. E chi sono, tra noi umani, i più abili nel prendere le parole, adattarle, sminuzzarle, allungarle, spezzettarle… perché no pestarle a sangue finché non si adattano ai loro smisurati e spropositati scopi? Sarebbe facile dire i politici. Ma i politici siamo noi. Noi che li votiamo. Noi che li accusiamo di ogni nefandezza. Noi che li eleggiamo salvo poi nascondere la mano (pardon la matita copiativa) con cui gli abbiamo nominati accusandoli di tradimento, di avidità, di cinismo e perché no muovendogli contro la più polisemica delle accuse: “Siete solo dei poveri uomini!”.

Ecco qui che povero, da aggettivo che determina una condizione economica, si trasforma in un insulto. Essere un povero di spirito, un povero uomo, un povero cristo e giù, giù fino a povero culo, significa qualcosa di diverso dall’originale. Non è più una questione di soldi. Di avere o non avere possedimenti. Diventa altro. Cambia il significato storico. Vuol dire essere fuori dal processo della modernità. Essere inutile. Inconcludente. Non strategico e non funzionale ai fini del processo di avanzamento del progresso. Dunque diverso. Non affidabile. Pericoloso. Direte: quale progresso? Ognuno naturalmente descriverà la sua idea di progresso. Ma l’elasticità polisemica di cui sopra, ci condurrà in nuovi territori della povertà: i poveri italiani invasi dai migranti, i poveri migranti che dovrebbero stare a casa loro invece di  portarci via le case IACP e i posti all’asilo. I poveri rom che in realtà sono ricchi perché basta vedere con che auto girano per capirlo. I poveri  leghisti che non sanno leggere e scrivere. I poveri Cinquestelle  che sono come i topini che seguono le note del pifferaio-grillo magico… Insomma da polisemico il nostro aggettivo diventa un intercalare polispecialistico, da usarsi indifferentemente in ogni situazione retorica che ne richieda l’uso.

Senza più definizioni certe, il termine povero è pronto per ogni uso. Il Sud è povero. Il Nord è povero. La cultura è povera. L’Italia è povera. Pure la Nazionale di calcio è povera. Salvo poi chiedersi: ma povera di cosa? Di idee? Di coraggio? Di speranza? Chissà.

Non crediate comunque di sfuggire al dilemma con la solita ironia. Ricorrere al vocabolario è inutile. Cambiare le cose impossibile. Ci vorrebbe un diktator. Uno di quei professori di una volta, barba e baffi compresi, quelli che da dietro la cattedra ti guardavano agonizzare sugli endecasillabi della Divina Commedia e godevano nel vederti affogare nei flutti della metrica pronto a perdonarti a patto di tornare allo spirito originale. Quale? Ad esempio riconoscere che la povertà non è data da Dio o da Giove Pluvio, ma è una condizione determinata da cause esterne siano esse l’ambiente, la società, lo sfruttamento, il lavoro non protetto, l’avidità di pochi etc. Una nuova consapevolezza insomma, capace di riconoscere che usare l’aggettivo povero per insultare gli altri è semplicemente vergognoso. A proposito… ma  vergognoso è polisemico come povero? Ma certo. Meno di povero, ma lo è anche lui. La differenza è che vergogna è un giudizio. Povero invece è e sempre sarà una condizione senza colpe. Checché ne dicano certi politici.