LA PAROLA

Procrastinare

“Lo farò domani”. E poi domani diventa dopodomani, e dopodomani il giorno dopo ancora. In un rincorrersi continuo di promesse non mantenute, di piccoli buoni propositi formulati per mettere a tacere la coscienza che, silenziosa e costante, ricorda che ci sarebbe un lavoro da fare, una scadenza da rispettare, un impegno da onorare.

Procrastinare è un’arte e richiede una certa abilità: credete che sia facile destreggiarsi tra le responsabilità, fare lo slalom tra i promemoria e evitare abilmente le scadenze? Non lo è, e ancora meno (se possibile) è uscire dal circolo vizioso del senso di colpa che, inesorabile, non perde occasione di ricordare cosa doveva essere fatto.

In qualche modo, rimandare dà un certo senso di sicurezza perché allontana (almeno temporaneamente) la minaccia: ripetersi che quella certa cosa verrà fatta, sì, ma non subito, non nell’immediato dona una calma temporanea. Perché l’impegno sembra lontano e la paura di affrontare il dovere è relegata a un angolo recondito della mente.

Le cose, però, raramente scompaiono per sempre e quello che sembrava tanto distante torna, prepotente, a bussare alla porta. Non si può scappare in eterno e anche il procrastinatore professionista prima o poi deve cedere al peso delle responsabilità e farsi carico di ciò che deve essere fatto. Non si sfugge, o almeno non per sempre. Forse, però, è meglio pensarci domani.

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