MESTIERI VISIONI

Quei maghi che scelgono la radica delle pipe

Un’arte: fumare la pipa. Come produrla e, prima ancora, trovare la radica migliore con cui farla. Capace di mandare in fumo il tabacco, effondere quell’effluvio nell’aria, senza bruciare il legno e ustionare la mano del “devoto”. C’è chi lo fa e si tramanda il mestiere. Che richiede competenza e, soprattutto, passione.

Un’arte: fumare la pipa. Come produrla e, prima ancora, trovare la radica migliore con cui farla. Capace di mandare in fumo il tabacco, effondere quell’effluvio nell’aria, senza bruciare il legno e ustionare la mano del “devoto”. C’è chi lo fa e si tramanda il mestiere. Che richiede competenza e, soprattutto, passione.

La fumavano Hemingway, Pavese, Einstein e Clark Gable, Sartre e Giorgio Gaber. John Coltrane masticava il bocchino della sua pipa quando non masticava quello del sassofono che lo ha reso celebre. Sandro Pertini non se ne separava mai e Bearzot spippettava a bordo campo, mani sui fianchi e sguardo accigliato, a impartire ordini ai suoi “ragazzi” in maglia azzurra. Personaggi dei romanzi – da Sherlok Holmes fino al commissario Maigret, che fumava quanto il suo creatore Simenon – o dei cartoni animati, come l’intramontabile Popeye o il capitano Haddok della serie “Tintin”, sono raccontati con l’immancabile pipa che ne sottolinea atteggiamento e gestualità.

Accessorio tipicamente maschile, ha conquistato poche ma decise amanti di questo modo di gustare il tabacco: se le vamp di tutti i tempi tengono tra le dita lunghe sigarette bianche che sprigionano cerchi azzurrini di fumo, è celebre la foto di una giovanissima Jaqueline Lee Bouvier, non ancora Kennedy, con la pipa in mano a cui si affianca quella dell’attrice Andie Macdowel, meno storia forse ma molto glam. E ancora la cantante Gigliola Cinquetti e molte delle donne disegnate da Manara, lui stesso appassionato fumatore.

In passato come in tempi più recenti, la pipa è identificata come un accessorio di classe, è fumo da intenditori. Niente a che vedere con le banali sigarette figlie della fretta e dei tempi moderni. La pipa è tabacco puro che brucia lentamente nel fornello, sprigionando un aroma gradevole, a volte dolciastro altre duro e intenso. Prepararla è un rituale che non può essere fatto in macchina, in pausa pranzo, mentre si parla al cellulare. Richiede tempo e passione. I fumatori di pipa descrivono questo momento come un preliminare, assaporando il gusto successivo e lungo della fumata.

«Quando accende la pipa, l’attenzione per la fiamma dello zolfanello che alla prossima tirata dovrebbe lasciarsi aspirare in fondo al fornello, dando inizio alla lenta trasformazione in brace dei fili di tabacco, non deve fargli dimenticare nemmeno per un attimo l’esplosione d’una supernova che si sta producendo nella Grande Nube di Magellano in questo stesso istante, cioè qualche milione d’anni fa (…)», scriveva Italo Calvino nella raccolta di racconti Palomar.

Per tutte queste caratteristiche, la pipa sembra confinata in un tempo che fu, in un mondo in bianco e nero di poltrone di cuoio, caminetti accesi e bicchiere di scotch, tra le labbra di lupi di mare che sfidano le tempeste o sull’angolo del tavolo verde.

Invece, ancora oggi, resistono – e sono in aumento – legioni di fumatori di pipa, decine di siti internet e community, ma soprattutto piccole aziende che producono pipe di altissima qualità per una stretta clientela selezionata, seguendo rigorosamente un disciplinare non scritto che detta le regole, dalla scelta del materiale alla lavorazione.

In Italia, oltre alla famosa Savinelli che dal 1948 produce pipe a livello industriale, ci sono circa un centinaio di piccole imprese artigianali, concentrate soprattutto nel Varesotto e nel Pesarese. Aziende che realizzano pipe esclusive e le esportano in tutto il mondo. Il made in Italy si distingue anche in questo campo particolare, perché la radica migliore si trova proprio in Italia e anche chi produce pipe in Germania, Danimarca, Russia e Nord America, qui viene a rifornirsi della materia prima: la radica di erika arborea, tipico arbusto mediterraneo che – insieme a quella di corbezzolo e di olivo, benché in quantità molto minore – è “il” materiale da pipe.

Trovare ed estrarre ciocchi di erika arborea di qualità non è cosa da poco, se si considera che da ognuno di essi si ricava al massimo, ma non sempre, una singola pipa. Ogni pianta e relativa radice ha una storia. Servono mestiere e passione per trovare il meglio, la radica più preziosa.

Lo sa bene Francesca Manno che, insieme alla sorella Ilaria, è titolare della “Briar pipe”, fondata dal padre Domenico oltre 20 anni fa a Casal di Pari – borgo arroccato sulle colline dell’Alta Maremma in provincia di Grosseto – una delle sole quattro aziende in Italia che producono radica grezza. Va a cercare la migliore in boschi accuratamente scelti, per trasformarla in “abbozzi” e “placche”, semilavorati pronti per diventare una pipa. Tra i loro clienti lo stesso Savinelli e aziende artigianali sparse in Italia e nel mondo.

L’azienda ha organizzato per il 20 e 21 maggio un “Salone internazionale della pipa” che si tiene a Casal di Pari, con escursioni nei boschi in cerca di ciocchi di radica e dimostrazioni in segheria sulle diverse fasi della lavorazione.

«Ogni ciocco estratto – spiega Francesca – è una cosa a sé, a seconda della composizione del terreno in cui è cresciuta la pianta, dell’esposizione, del periodo dell’anno in cui è stato raccolto. Estraiamo ciocchi di erika arborea solo nei boschi della bassa Maremma che hanno, attualmente, le caratteristiche migliori per produrre semilavorati di alta qualità. Le sostanze rilasciate dal terreno in cui si è sviluppata la radice, determinano colore, odore, consistenza e soprattutto venature. Più fitte sono, migliore sarà la pipa».

Il ciocco viene estratto, lavato, tagliato “leggendo” e rispettando le linee delle venature per ricavarne un abbozzo o la più preziosa placca. Poi bollito per liberarlo dai tannini e messo a stagionare. Il periodo di riposo varia da 1 a 10 anni a seconda del prodotto finito che si vuole ricavare. Questo spiega, in parte, perché una pipa artigianale può costare fino a 10 mila euro, partendo da un minimo di 180-200.

I produttori di pipe che si rivolgono a questa piccola azienda familiare vogliono il massimo e il massimo si ottiene solo dall’eccellenza, che a sua volta nasce dalla passione. «Questo lavoro – aggiunge Francesca – richiede profonda conoscenza del terreno e delle piante, capacità di distinguere il ciocco di alta qualità, saper valutare le venature del legno, la consistenza, l’attitudine prima di fare il taglio da cui gli artigiani ricaveranno la pipa. La stessa bollitura e la stagionatura influenzano la qualità del legno e della pipa e di conseguenza la qualità del fumo».

Anche il momento della scelta della radica e della sua lavorazione è un rito, come scegliere la forma seguendo le venature del legno, come riempire il fornello e accendere il tabacco.

Non c’è dunque da essere sorpresi se Baudelaire ha dedicato alla pipa questi versi:

Sono la pipa d’uno scrittore:

con questa faccia

d’Abissina o Cafra, si vede

che il padrone è un gran fumatore!

Se lui è pieno di dolore,

fumo come la capanna

dove si cucina

per il contadino che ritorna.

Come gli allaccio e cullo l’anima

nella rete azzurra e mobile

che sale dalla mia bocca di fuoco!

E che dittamo potente effondo

per affascinargli il cuore e guarirgli

lo spirito dalle fatiche!