Gli spalti si stavano già svuotando e anche nella buca dei fotografi, dietro la porta della curva Fiesole, era rimasto solo Corrado Banchi, il freelance di Massa Marittima che di solito neanche veniva ammesso in quella postazione privilegiata. La partita tra Fiorentina e Juventus aveva offerto poco, appena l’emozione di un rigore fallito da Sergio Cervato e nessun altro spunto per vincere il freddo di quel 15 gennaio 1950.
A dieci minuti dal termine la gara stancamente si avviava alla conclusione sullo zero a zero. Con i taccuini dei cronisti già riposti, con Corrado che solo per abitudine manteneva al collo la sua Leica e con un fotografo dello studio Locchi a presidiare dal piano del campo le schermaglie finali sotto la porta di Giovanni Viola.
Anche l’ingegner Giorgio Bernardi, l’arbitro bolognese, dirigeva le ultime ostilità con il pilota automatico e forse già pensava alle ricerche sul fiume Reno che l’indomani avrebbe ripreso nel suo ufficio al Genio civile.
Augusto Magli era un mediano dal tocco sottile, elegante ma fragilino e poco adatto alla battaglia che non fosse quella con le più fascinose fanciulle che frequentano gli impianti della Fiorentina calcio. Gli capitò un pallone a centrocampo e scelse l’impegno più facile: vide Egisto Pandolfini pronto in posizione avanzata e gli lanciò la palla. Una palombella gentile, debole ma precisa.
In quel momento Carlo Parola, il centromediano piemontese dalle doti atletiche impressionanti, intuì il pericolo e volò in cielo incontro al pallone. «Una mezza rovesciata laterale difficilissima», dirà anni dopo Egisto Pandolfini.
Il pallone, colpito di collo pieno, volò lontano. Dagli spalti un’ovazione. Corrado scattò d’intuito sperando che il suo grandangolo 35 millimetri riuscisse a regalargli almeno una porzione di negativo buona per stampare un’immagine vendibile. Il fotografo di Locchi, invece, aveva seguito l’azione fin dall’inizio e gli fu facile puntare il suo 50 millimetri verso Pandolfini e Parola.
Un’ora dopo negli studi di Foto Fiorenza in via del Proconsolo, dove Corrado sviluppava i suoi negativi, Aldo Checcucci capì che nella pellicola di Banchi c’era qualcosa di raro. In fretta e furia impressionò addirittura una lastrina con uno dei fotogrammi, proprio quello in cui si vedeva Parola in volo.
Locchi stampò ed espose l’immagine, praticamente la stessa: qualche millesimo di secondo tra lo scatto di Banchi e quello del reporter dello studio di piazza Vittorio.
La storia però aveva scelto: le due foto scattate in simultanea, non furono mai uguali. Il caso aveva premiato Banchi che dalla buca riprese Parola verso l’alto fermandolo in cielo nel momento più compiuto di un gesto perfetto. Addirittura, sullo sfondo, uno dei pochi cartelloni pubblicitari, quello della Fiat, la casa di Parola, lo stabilimento nel quale aveva lavorato da caporeparto prima che Jesse Carver, pittoresco allenatore inglese dei bianconeri, non lo avesse per caso ammirato in una partita del torneo organizzato dal dopolavoro della fabbrica. Mai si ricorda un atleta che abbia smesso la tuta da metalmeccanico per vestire in pochi giorni la maglia di una delle squadre più blasonate d’Italia.
C’era tutto in quello scatto improvviso che per la prima volta venne ammirato nel numero del “Calcio illustrato” uscito il 19 gennaio 1950: armonia, forza, destino, eleganza. La rovesciata di Parola aveva emesso i primi vagiti di una vita che doveva diventare infinita: una favola, piena di sorprese, di aneddoti, di eventi eccezionali.
Corrado rientrò a Massa Marittima con le poche lire che aveva incassato dalla vendita dell’immagine e affatto convinto di quello scatto eccezionale. Anni dopo confesserà di non amare la foto della rovesciata «per la quale tutti mi cercano ignorando ciò che ho fatto in una vita di lavoro». Una pietosa bugia perché Banchi nulla ha mai trascurato per promuovere la sua foto, dalla quale – unico neo – non ha mai ricavato altro se non i primi soldi dal “Calcio Sport Illustrato”. Lui, elegante e formale, arrivò ad accreditare la diceria della «Foto del bisogno del Banchi» con cui l’immagine della rovesciata venne etichettata quando qualcuno insinuò che Corrado fosse sceso nella buca più per esigenze fisiologiche che fotografiche. E per molto tempo Banchi sopportò perfino che la sua immagine apparisse ovunque con le paternità le più diverse. Negli archivi della “Nazione” è rimasta a lungo, come testimonianza della rovesciata, la più banale foto scattata da Locchi.
Ma la svolta, la svolta vera, doveva arrivare nel 1965 quando Giuseppe Panini, il gran patron delle figurine dei calciatori, si ricordò dell’immagine di Banchi, la cercò a lungo e alla fine la piazzò, ridisegnata per motivi tecnici, nella copertina dei suoi album. Sono passati 53 anni è la rovesciata continua ad essere stampata nelle raccolte, nei depliant, nelle migliaia di bustine Panini. In Italia e nel mondo intere generazioni hanno ammirato, discusso, giocato con il volo in cielo di Carlo Parola. Mai nessuna immagine è stata riprodotta in un numero così elevato di copie. Ormai si parla in termini di miliardi di esemplari con le rotative che ogni anno continuano a sfornare stampe e ristampe. Un primato che ha perfino resistito alle insistenze di un facoltoso cinese che indicava la foto di Mao, impressa nelle banconote della repubblica popolare, come l’immagine più riprodotta al mondo. E si è arreso perfino Alberto Korda che ci ha regalato lo stupendo ritratto del Che, perfino riproposto all’infinito da tatuatori di mezzo mondo.
Giampiero Boniperti, personaggio simbolo della Juve, legatissimo a Parola, un giorno alzò il telefonò e neanche una settimana dopo all’ex campione, ormai gravemente ammalato, arrivarono da Modena 100 milioni di lire. L’unico premio per quel gesto unico. Corrado invece non si è neanche mai preoccupato di pensare a un qualsiasi tipo di guadagno. Ha sempre cercato più consensi che denaro e non ha cambiato stile negli ultimi anni trascorsi in un modesto appartamento di Massa Marittima.
Il suo regno allora era uno stanzino che apriva a pochi fortunati: sei metri quadrati che raccontavano una vita eccezionale. Dal primo, incredibile rapimento di cui si abbia notizia in Italia, alle rischiosissime foto dei minatori di Niccioleta fucilati dai nazisti a Castelnuovo Val di Cecina; dalle strazianti immagini dei morti nella tragedia della miniera di Ribolla nel 1954, ai festival di Sanremo; dai concorsi di Miss Italia, dove sdegnosamente rifiutò un invito a fotografare Sofia Loren perché «era magra e aveva due gambe come quelle delle rane», ai giri d’Italia con l’Arriflex della Settimana Incom; fino ai primi geniali tentativi di riprendere ippica e ciclismo con cineprese piazzate su una motocicletta. Roba, allora, da rimetterci l’osso del collo.
Un giorno, come faceva spessissimo regalandomi lunghissimi, stupendi racconti, Corrado mi chiamò. Non disse né «pronto» né chi fosse. Semplicemente esclamò: «Ora basta! Vieni subito». Capii che conveniva andare. Lo trovai sul portone di casa in fremente attesa; non disse nulla e cominciò ad allungare il passo verso lo stanzino. Era il segnale che dovevo seguirlo. «Ecco qua! – esclamò – Ora voglio vedere cosa dicono».
Ancora una volta la foto della rovesciata era apparsa su un giornale importante con una didascalia che attribuiva l’immagine a un altro autore. Non era la prima volta che qualcosa del genere accadeva; era invece la prima volta che Banchi aveva deciso di non sopportare oltre.
Lentamente liberò una lunga pellicola dalla carta rossiccia che l’aveva custodita per anni. Poi alzò al cielo il trofeo e netto apparve il negativo del grande volo. Non c’erano più dubbi. Addirittura la vecchia Leica, dai dentini di trascinamento consumati, aveva lasciato sulla celluloide inequivocabili fori a lato di quelli concepiti dalla Ferrania per l’avanzamento del rotolino.
Era l’undici gennaio 1996. Raccolsi ogni notizia possibile e corsi a scrivere un’intera pagina. Fino Fini, direttore del Museo del Calcio a Coverciano, unì regalo al regalo e offrì al mio lavoro uno spazio in un salone. So che la matrice della pagina è rimasta a lungo esposta ma non ho notizie sulla possibilità che abbia resistito al crescere di nuovi reperti da mostrare.
L’idea era quella di conservare a Coverciano anche la negativa che, morto Corrado, è passata al figlio Paolo e ai nipoti. Finora i tentativi sono andati a vuoto. Ma chissà che col tempo… una rovesciata. In fondo sono sicuro che il mio amico Corrado questo avrebbe voluto.