Bologna – la città della prima Università al mondo, di Carducci, Malpighi, Eco – vive un periodo difficile nei confronti del proprio Ateneo e degli studenti che lo frequentano: 87 mila, quasi un quarto degli abitanti. I problemi sono sotto gli occhi di tutti, cittadini e ragazzi. Tanto che alla commemorazione della morte di Francesco lo Russo, il militante di Lotta Continua ucciso nel 1977, le istituzioni non si sono fatte vedere. Ora ci si chiede come affrontarli. Ma la risposta non è facile.
Sapiente e dotta lo è sempre stata. Arrabbiata spesso, basta riandare al ’77, quando il movimento e la “città vetrina” si scontrarono violentemente e un giovane di Lotta Continua, Francesco lo Russo, fu ucciso, durante una manifestazione, da un colpo di pistola sparato da un Carabiniere. E proprio in questi giorni, quarant’anni dopo, alla cerimonia di commemorazione, le istituzioni sono rimaste defilate, dopo feroci polemiche con giovani anarchici e dei collettivi.
L’Università di Bologna – l’Alma Mater Studiorum, come è conosciuta nel mondo – è una città all’interno della città, con oltre 87.000 studenti (su circa 400.000 abitanti), di cui il 45% fuorisede. Ha 11 scuole e 33 dipartimenti, oltre a una serie di prestigiose sedi per la ricerca, quali i Centri interdipartimentali, e una imponente rete di strutture bibliotecarie e museali.
L’Ateneo è forse uno dei simboli più evidenti delle contraddizioni della Bologna di oggi, che da anni non è più Paese ma neppure Metropoli; che s’interroga, perplessa e smarrita, di fronte ad un rapporto cittadini-studenti mai risolto; che si chiede perché la città non riesca più a farsi amare, soprattutto dai giovani. E ancora che fatica a comprendere gli studenti, i quali vivono un po’ separati e un po’ conflittuali nel cuore del centro storico. Una città dove pure Rettori progressisti – alcuni, i più recenti – hanno cercato (invano, sinora) di far quadrare il cerchio, in collaborazione con le amministrazioni di turno (tutte di sinistra, a parte la parentesi di Guazzaloca di inizio nuovo secolo).
Quasi tutti sanno che la millenaria Università di Bologna (nacque nel 1088) è stata la prima del mondo occidentale. La sua storia si è intrecciata con quella di grandi personaggi che operarono nel campo della scienza e delle lettere ed è riferimento imprescindibile nel panorama della cultura europea. Becket, Pico della Mirandola, Erasmo da Rotterdam, Torquato Tasso, Carlo Goldoni, Laura Bassi, Marcello Malpighi, Giosuè Carducci, Giovanni Pascoli, Augusto Righi, Federigo Enriques, Umberto Eco e mille altri ancora i nomi illustri che ne hanno accresciuto pregio e notorietà.
Anche oggi Bologna, almeno nelle fotografie che i media scattano sulle “performance accademiche”, primeggia: l’autorevole “Times”, non molti giorni fa, l’ha inserita nelle prime 200 al mondo per qualità dell’istruzione, livello di ricerca, apertura all’internazionalizzazione, competenza dei docenti. In Italia resta tra le primissime, dietro la Normale di Pisa, al pari del Sant’Anna (sempre di Pisa) e della milanese Bocconi.
Eppure, nella città che sempre più si apre al mondo, che nel 2016 ha fatto segnare il boom dei turisti stranieri (+11,9%) ed è appena diventata “Welcome Chinese”, firmando un protocollo d’intesa per avvicinare la Cina al capoluogo emiliano dal punto di vista turistico, economico, commerciale, gli studenti restano degli estranei. O, peggio, delle risorse da sfruttare se non dei potenziali “nemici” da cui guardarsi.
Ai più gli universitari appaiono una tribù a parte, spesso apocalittica, raramente integrata. Ed ancora arrabbiata. La città, nel suo complesso, è come un tempo, accogliente di giorno, viva e vivace la sera, ma abitare e vivere a Bologna costa caro, soprattutto per gli studenti. E addirittura ora si parla di aumentare le tasse (anche se solo per i più abbienti).
Non bastasse, a fianco delle Due Torri, nella cittadella dello studio che si snoda da via Zamboni, anche di giorno il degrado appare evidente e la tensione crescente: perché la coesione sociale è slabbrata, piccoli e grandi episodi di vandalismo e microcriminalità proliferano. E la notte, spesso, è il Far West. Dove dormire, per le famiglie, diventa impossibile; dove i commercianti (tanti) non rispettano gli orari e le ordinanze (in particolare sugli alcolici); dove nascono Comitati di cittadini volonterosi e impegnati, ma molte attività chiudono, perché strati non marginali di criminalità, più o meno organizzata, si intrufolano e spadroneggiano.
«È un problema di ordine pubblico», urla qualcuno. «Spetta all’amministrazione», ribattono altri. «Abbiamo diritti, chiediamo servizi», sono gli slogan degli studenti. E i bolognesi si chiedono: perché nessuno sembra più amare questa città, dove proliferano gli scarabocchi sui muri e i rifiuti per terra, dove alla bonomia e all’accoglienza, proverbiali da queste parti, si sostituiscono diffidenza e isolamento?
Il ricordo dell’uccisione di Francesco Lo Russo, a quarant’anni di distanza, è diventano l’ennesimo pretesto per incomprensioni e divisioni: i ragazzi del collettivo Cua avevano annunciato un presidio contro la presenza delle istituzioni, che hanno così preferito fare un passo indietro. Ma è stato solo l’ultimo di una serie di episodi più o meno gravi. L’attualità parla infatti di studenti che si fronteggiano tra loro, di professori e ragazzi uniti nel dire stop ad occupazioni e prevaricazioni.
Bologna non si è fatta mancare niente negli ultimi due mesi, neppure i disordini e gli scontri con la polizia. Non per gli ideali, più o meno nobili, degli anni che furono. Stavolta per i “tornelli” in una biblioteca di Lettere: i collettivi hanno protestato e occupato, le forze dell’ordine hanno caricato. Ancora oggi, la più antica facoltà giuridica del mondo occidentale si trova a fare i conti con l’occupazione dell’Aula Studio. Una petizione, firmata da docenti e studenti, ha raccolto oltre 700 firme in pochi giorni. Perché sia ripristinato il diritto a studiare.
Nell’aprile del 1977, dopo le violenze e le lacerazioni, “l’Unità” ospitò un carteggio tra il poeta Roberto Roversi ed il sindaco Renato Zangheri.
Scriveva Roversi sui giovani e la città:
«…Ci vorrà tempo, ci vorranno opere, ci vorranno attente e precise parole per ricucire; soprattutto occorrerà una chiarezza di fondo che non mi sembra ancora di cogliere… per avere subìto il ricatto eversivo senza una reazione lucida e immediata paragonabile alle altre volte, quando occorreva; per tiepidezza di guida politica e di riferimento ideologico; per non aver potuto identificare subito il Comune come il centro a cui rivolgersi per capire; per non aver ricevuto in merito informazioni chiare ed immediate…».
Rispondeva Zangheri:
«L’Università deve essere profondamente riformata; la riforma non può immaginarsi al di fuori di una trasformazione del modo di produrre, del tipo di sviluppo, dei ruoli sociali. C’è da capire quale debba essere la funzione dei giovani diplomati e laureati, e più in generale quale debba essere il rapporto tra lavoro manuale e intellettuale. C’è da combattere contro un vecchio sistema di potere e contro vecchi valori, che non sono più tali, se mai lo sono stati: del guadagno, dell’egoismo, della concorrenza che diventa sopraffazione. Restiamo dunque su questo terreno, aperti, ripeto, a tutte le critiche, alle sollecitazioni più audaci. Chiusi solo, questo sì, alla violenza e alla prepotenza…».
Oggi, a Palazzo D’Accursio, sede del Comune, là dove la politica dovrebbe sforzarsi di interpretare, capire, proporre soluzioni, alla domanda della consigliera leghista di turno sulla sicurezza in zona universitaria, l’assessore competente ha così risposto: «L’Amministrazione comunale sta affrontando le problematiche di Piazza Verdi a vari livelli: con il coordinamento con le forze dell’ordine nelle attività di repressione, la Polizia Municipale è impegnata in particolare sulla vendita abusiva di alcolici, nel lavoro con l’Università per la riqualificazione della zona e attraverso le attività del Teatro Comunale sempre più aperto alla città. A differenza di altri esponenti politici, noi non crediamo che per risolvere i problemi di quella zona serva l’insetticida».