DAILY LA PAROLA

Rifùgio

Se si cerca o si trova un luogo dove si sia al riparo, dove si sia difesi e protetti, è perché si sta fuggendo da qualche altro luogo, da un altrove nel quale riparo, difesa, protezione non sono garantiti
Foto Virgilio Ferrini

Anticamente lo si scriveva con la e, refùgio, derivando dal verbo latino refugĕre che significava “rifuggire”, scappare. Poi, nell’italiano moderno, ha preso la i al posto della e, ma in ogni caso è rimasto «il luogo dove si cerca o si trova riparo, difesa, protezione». E, se si cerca o si trova un luogo dove si sia al riparo, dove si sia difesi e protetti, è perché si sta fuggendo da qualche altro luogo, da un altrove nel quale riparo, difesa, protezione non sono garantiti, non sono certi, anzi una minaccia incombe. Ci giriamo molto intorno a questa parola nei nostri tempi, riferendoci a quanti appunto cercano rifugio e ad essi si può concedere lo status di rifugiati, come se non fosse già il rifuggire che appiccica addosso quello status. No, a noi serve carta da bollo, l’esamìno, dimenticando quello che ogni montanaro sa o dovrebbe sapere: che dopo ore di cammino, quando si è stanchi e stremati, soprattutto se giunge una tempesta e al gelo si deve rifuggire, la méta, il miraggio è appunto il rifugio.

Ce ne sono molti in montagna, dalle baracche di legno, un giaciglio appena, qualche scatoletta, e magari della legna da ardere, a quelli in pietra più simili all’ospitale che ospita con qualcuno che ti ospita. Forse oggi somigliano di più a un ristorante, che comunque anch’esso nasce come ristoro, con la sola eccezione d’essere ad alta quota, ma pur sempre rifugio, letti a castello dove fermarsi e riposare, una zuppa calda, un piatto di polenta. Spesso è il Club alpino italiano che garantisce un po’ ovunque se ne trovi sempre qualcuno.

In un rifugio – probabilmente il più basso d’Italia, il Gualdo di Monte Morello – TESSERE terrà la 3 giorni dedicata a Primo Levi nel centenario della sua nascita, essendo stato lui uno che la montagna l’ha molto amata.

Si trova rifugio tra le braccia di qualcuno che ti vuol bene, usiamo perciò questa parola anche in senso figurato e l’abbiamo estesa una settantina d’anni fa a quelle cantine o alle stazioni della metropolitana, nelle città che ce l’avevano, indicando quei luoghi come rifugi antiaerei, nei quali potersi nascondere per sottrarsi alle esplosioni dei bombardamenti aerei. E di lì anche il rifugio antiatomico: si dice qualche nababbo se lo sia fatto costruire fra le fondamenta della propria casa. C’è anche, è vero, il rifugio del bandito che fugge e ci sono i beni rifugio, quelli che, «in periodo di inflazione, sfuggono alla svalutazione o la subiscono in misura minore del denaro liquido».

Rifugio è il porto, perché la nave può approdarvi in caso di maltempo, e talvolta è detto anche ricovero. In biologia indica la fetta limitata di territorio entro la quale animali e piante hanno potuto sopravvivere, non permettendo tutto quanto sta attorno, la più vasta area circostante, condizioni minime di esistenza.

Celebre è l’espressione latina refugium peccatorum impiegata per indicare la Madonna e la sua così grande bontà da poter dare accoglienza anche a quanti hanno sbagliato e ne han commesse d’ogni sorta, e poi trasferita a quelli esageratamente indulgenti col prossimo, un po’ boccaloni si direbbe in altro modo, e tuttavia punti di riferimento nei momenti dell’estremo bisogno; oppure trasferita al coacervo degli inetti e degli scansafatiche. Ma è vero che è emozionante l’ambito etico-figurato dischiuso dalla parola rifugio, il fatto che al viandante o allo sbandato si possa dar accoglienza, riparo dalle insidie, tepore.

Chiudiamo con una citazione di Mario Soldati, valida anche se l’oggetto a cui ci si riferisce è qualunque altro, materiale o immateriale che sia: «I libri non sono, e non debbono essere, rifugio, evasione dalla vita; ma strumento per guardare più a fondo la vita, mezzo per vivere di più». Nessun nido è per sempre.