L’11 maggio 1960 gli agenti del Mossad, il servizio segreto israeliano, catturano Adolf Eichmann mentre rientra a casa dal lavoro. Lo scovano in Argentina, rifugio di molti altri eminenti nazisti in fuga, dove vive sotto il falso nome di Riccardo Klement, altoatesino.
L’Argentina non contemplava l’estradizione, perciò Eichmann verrà tenuto nascosto per otto giorni, il tempo di organizzare un volo speciale per Israele; per eludere il controllo aeroportuale pare sia stato sedato e sorretto fino all’aereo, stavolta sotto le mentite spoglie di membro dell’equipaggio in pesante stato di ebbrezza.
L’ex SS è accusato di essere uno dei maggiori responsabili operativi dello sterminio degli ebrei nella Germania nazista, e come tale dovrà essere processato: il suo contributo alla causa nazista è la creazione di una macchina che funziona, con la quale lo sterminio si attua con la massima efficienza amministrativa, dalla spoliazione di tutti i beni all’organizzazione dei treni per la destinazione finale.
Il processo Eichmann, iniziato l’11 aprile 1961 a Gerusalemme, fu il primo processo per crimini di guerra celebrato in Israele, e anche l’evento mediatico dell’anno.
Alla diretta radio nazionale si accompagnava infatti una registrazione video ottenuta con telecamere nascoste per non falsare l’andamento delle udienze; nel resto del mondo le immagini televisive arrivavano con lo scarto di qualche giorno, il tempo necessario a spedire i nastri magnetici per posta aerea e sottotitolarli. La genesi di queste riprese lo racconta il film The Eichmann Show, diretto da Paul Andrew Williams nel 2015.
Durante tutto il processo, Eichmann si dichiara «non colpevole» e dice di «avere solo eseguito degli ordini» ai quali non poteva sottrarsi. Questo suo atteggiamento, assieme al suo aspetto di uomo comune, senza tratti di particolare ferocia nel volto, che esegue gli ordini senza pensare, ispirerà alla filosofa Hannah Arendt, presente come inviata del “New Yorker”, la sua opera La banalità del male.
Qui un breve spezzone video del processo Eichmann: quando il giudice gli chiede cosa si ricorda della conferenza di Wannsee, Eichmann dissimula, finge di non ricordare, si morde le labbra in una smorfia nella quale sembra quasi trattenere a forza un sorriso; nel fare il finto tonto, non dissimula abbastanza. Allora il pubblico ministero chiede che possano essere ascoltate le registrazioni, e sul banco compare un registratore a nastri. L’uomo giovane di spalle, che armeggia con il grosso registratore, ha il braccio sinistro scoperto, e una fila di numeri tatuati: è il suo ricordo della deportazione.
Il processo ad Eichmann è importante perché per la prima volta la Shoah viene raccontata al mondo, e dalla viva voce dei testimoni. Sono passati 15 anni dal processo di Norimberga, Simon Wiesenthal è sulle tracce dei nazisti che, come Eichmann, si sono volatilizzati (ha dedicato la sua vita a cercare i responsabili dell’Olocausto, fuggiti e nascosti in varie parti del mondo, ed è riuscito a farne catturare milleseicento) e il processo di Gerusalemme porta in scena, per la prima volta, i testimoni: nel corso delle oltre cento udienze, sono tantissime le drammatiche testimonianze portate finalmente all’attenzione del mondo intero, grazie al coinvolgimento dei media internazionali.