LA DATA

12 febbraio 1944

«Di notte, spesso, i miei sogni si trasformano in incubi, mi ritrovo su quella spiaggia punteggiata di poveri cristi cancellati dalla storia». Delvis Melini, testimone

La notte fra 11 e 12 febbraio 1944 in Grecia, vicino all’isola di Patroklou, naufragò un piroscafo varato nel 1920, una carretta del mare d’altri tempi. A bordo, stipati nella stiva, c’erano 4.116 soldati italiani prigionieri dei tedeschi, in viaggio per i campi di lavoro della Germania. Erano partiti in serata da Rodi, dove avevano espresso il loro rifiuto ad aderire alla Repubblica di Salò e rimanere così alleati e non nemici dell’esercito nazista, pronti a pagare il loro gesto di resistenza – non certo passiva – con la deportazione verso l’ignoto.

Quella notte fra le onde in tempesta del mare greco si salvarono solo in 37, dopo la collisione dello scafo sugli scogli. Per questa strage nessuno ha pagato, perché la storia l’ha dimenticata. Del resto nessuno ha veramente pagato nemmeno per l’eccidio di Cefalonia, successivo all’8 settembre 1943, dove gli oltre novemila soldati italiani si rifiutarono di consegnare le proprie armi ai tedeschi e furono uccisi a migliaia in combattimento, per rappresaglia, sulle mine tedesche disseminate nel Mar Egeo.

Nonostante la testimonianza resa nel 1946 da uno dei reduci, il naufragio del Piroscafo Oria è rimasto sepolto in un oblio lungo settant’anni, ed è riemerso grazie al ritrovamento di un sommozzatore: una gavetta in fondo al mare, vicino al relitto o a quel che ancora ne resta. Su quella gavetta erano incise due iniziali, il nome Vaiano e un proposito: «Mamma ritornerò perché ti voglio bene». Le ricerche del proprietario della gavetta dalla Grecia approdano all’anagrafe di un paese della Puglia, dove un’impiegata si appassiona al caso: individua e contatta tutti i comuni italiani che si chiamano Vaiano fino a trovare quello giusto, in Toscana, provincia di Prato. Da lì era partito M. D., Dino Menicacci, classe 1922, morto nel naufragio dell’Oria quella notte, che avrebbe avuto ventidue anni pochi giorni dopo.

Il Comune di Vaiano contatta la rete dei parenti dei dispersi, e assieme alla Fondazione CDSE – Centro di Documentazione Storico-Etnografica chiede aiuto alla Regione Toscana. Ne nasce un’azione che porta alcuni importanti frutti: l’assessore alla Cultura scrive a tutti i comuni toscani chiedendo di controllare se nelle loro anagrafi o registri comunali risultino morti o dispersi in guerra nell’Egeo, o comunque nelle date 11/12 febbraio 1944, e di comunicarne i nominativi, in modo da poterli confrontare con la lista dei soldati imbarcati sull’Oria. Al 12 febbraio 2014, settant’anni dopo, hanno risposto alla richiesta 131 comuni, segnalando circa 30 nominativi possibili di caduti toscani nella strage. La collaborazione fra amministrazioni ha fatto sì che nell’isola di Patroklou sia stato costruito un monumento memoriale, che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha visitato a settembre 2017.

Degli oltre 4.000 dispersi, sinora in 304 sono stati identificati e possono avere di nuovo un volto, una storia e una memoria pubblica: una ricerca promossa da tutte le regioni d’Italia ne restituirebbe di certo molti altri.

«In 4 mila e più sono morti quel giorno.
Questa è la storia. Questo è quanto è successo. Il 12 febbraio del 1944.
Mare tremendo, mare di morte.
E quel campo di battaglia giù in fondo. Quel cimitero di guerra che non avrà croci, ma solo le coordinate che valgono per uno scoglio o una boa.
Latitudine 37° 39′ nord, longitudine 23° 59′ est.
Qui, dove le acque si sono richiuse sui corpi. Qui, dove la tomba è la profondità del mare. Qui, dove le onde per giorni, per settimane, restituiranno una parte dei corpi rubati.
Mare tremendo, mare di morte.
Allo stesso modo di una spiaggia di inverno, i tronchi e i rottami dopo una libecciata».

(Paolo Ciampi, La gavetta in fondo al mare. Monologo per i morti dimenticati dell’Oria).