LA DATA

22 dicembre 1849

Immaginate di salire, una alla volta, le scale di un patibolo: vi hanno condannato a morte. Cercate di non pensare alla forca, ma il panico è inevitabile. Ore e ore di panico, e poi le scale dritte verso la vostra morte. All’improvviso tutto si ferma, pure l’aria: entra un messo dello Zar con un annuncio importante. La condanna a morte è revocata! Sono giorni che l’ordine è arrivato sul tavolo di chi dirige la fortezza di Pietro e Paolo a San Pietroburgo, ma tu lo saprai solo mentre sei lì, mentre sperimenti il terrore della tua fine. Il 22 dicembre 1849 l’esecuzione di Fëdor Michajlovič Dostoevskij viene cancellata all’ultimo istante, appena un attimo prima. E se subito dopo vi mandassero a scontare la pena in Siberia, cosa fareste? Quattro lunghi anni nella fortezza di Omsk, fra i morti viventi…

Il trauma dell’esecuzione-farsa lascerà in eredità allo scrittore crisi epilettiche, ne ripercorrerà il panico nel romanzo L’Idiota, nel quale scrive: «Dove mai ho letto che un condannato a morte, un’ora prima di morire, diceva o pensava che, se gli fosse toccato vivere in qualche luogo altissimo, su uno scoglio, e su uno spiazzo così stretto da poterci posare soltanto i due piedi, – avendo intorno a sé dei precipizi, l’oceano, la tenebra eterna, un’eterna solitudine e una eterna tempesta, e rimanersene così, in un metro quadrato di spazio, tutta la vita, un migliaio d’anni, l’eternità, – anche allora avrebbe preferito vivere che morir subito? Pur di vivere, vivere, vivere! Vivere in qualunque modo, ma vivere!… Quale verità! Dio, che verità! È un vigliacco l’uomo!… Ed è un vigliacco chi per questo lo chiama vigliacco».

Sospendere la pena capitale sul patibolo era una prassi sadica piuttosto in voga a quei tempi, e non era detto che il condannato non perdesse il lume della ragione. Ma di quali delitti si era macchiato, Dostoevskij, per meritare la pena capitale? Era stato arrestato Il 23 aprile per la partecipazione a una società segreta con scopi sovversivi e poi, in novembre, lo avevano condannato a morte assieme ad altri venti imputati. Lo zar Nicola I commutò la condanna a morte in lavori forzati a tempo indeterminato, ma il suo soggiorno in Siberia durò quattro anni, poi fu liberato per buona condotta e scontò il resto della pena nell’esercito, come soldato semplice nella città di Semipalatinsk, vicino al confine cinese. Dall’esperienza a Omsk nacque Memorie dalla casa dei morti, una delle opere più crude e sconvolgenti di Dostoevskij, nella quale esseri umani degradati sono descritti come le personificazioni delle abiezioni morali più turpi; in una fortezza si svolgono anche gli ultimi due capitoli di Delitto e castigo. Resiste dunque, Dostoevskij. Resta in sé, affronta la caduta rovinosa nell’abisso, nella perdita, nell’umiliazione costante, risorge in pagine e pagine di letteratura, riconduce la vita sulle tracce dell’essere umani. Qualcuno chiede, ogni tanto, a cosa serva la letteratura: a fare i conti con la vita, risponderebbe Dostoevskij, e a molto altro.