LA DATA

23 novembre 1980

Il1980 fu un anno tragico per l’Italia. Macerie su macerie, morti su morti. Dopo la strage di Bologna del 2 agosto, il 23 novembre, in 90 secondi, un sisma con una magnitudo stimata di 6.9, causò 2.914 morti, 8.848 feriti e circa 280.000 sfollati: il Terremoto dell’Irpinia. Difficile dimenticare, anche perché dopo 38 anni continua ad esistere una struttura commissariale, che fa capo al ministero dello Sviluppo Economico, con l’esplicito compito di seguire e concludere i tanti lavori infrastrutturali cominciati e, alcuni dei quali, ancora non ultimati.

La ricostruzione è stata uno dei peggiori esempi di speculazione su di una tragedia. Trentasei anni dopo il terremoto che il 23 novembre del 1980 colpì Irpinia e Basilicata, non è stata ancora scritta la parola fine. I contributi per la ricostruzione sono finiti in un calderone dove molti hanno attinto:  politici locali e nazionali, e ovviamente la criminalità organizzata. Le commissioni di inchiesta che si sono succedute nei vari decenni non sono mai riuscite a chiarire fino in fondo che fine abbiano fatto i fiumi di denaro fagocitato nella burocrazia della ricostruzione.

«La prima fase fu efficiente, poi subentrarono interessi elettorali locali. I Comuni colpiti passarono per decreto da 36 a 687», dichiara Giuseppe Zamberlettiex parlamentare Dc che fu commissario per la ricostruzione. In un articolo del 2016 de “Il Tempo” sono stati fatti due conti e si calcola che, tra stanziamenti ed agevolazioni fiscali a valore corrente si sono destinati 70 miliardi di euro,  compresi gli aiuti provenienti da tutto il mondo (dai 70 milioni di dollari degli Stati Uniti, ai 32 milioni della Germania ai 10 milioni dell’Arabia Saudita).

Ben presto, però, cominciarono i paradossi del cortocircuito legislativo burocratico. Basti pensare che i 339 comuni iniziali contemplati come colpiti dal sisma, e dunque destinatari di fondi per la ricostruzione, si moltiplicarono per effetto di una legge a 643 in un secondo momento e infine a 687.

Nel business dei finanziamenti e della ricostruzione si infilarono anche le brame della criminalità organizzata. Lo denunciava, nel ’91, la lunghissima relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sulla ricostruzione e lo sviluppo dei territori colpiti dal sisma, guidata da Oscar Luigi Scalfaro. In cui si sottolineava l’«emergere, come soggetti protagonisti, di imprese appartenenti a famiglie camorristiche, o infiltrate dalla presenza di elementi camorristici oppure colluse». Un ruolo determinante, poi, fu attribuito anche alla politica locale. Elementi analoghi affrontati anche dall’inchiesta giudiziaria Mani sul terremoto, in cui emersero, ad esempio, finanziamenti per progetti imprenditoriali mai realizzati. Una vera e propria “corsa all’oro”. Quanto basta per vergognarsi della farabuttaggine tipicamente nostrana.

Come sempre è stato e come sempre sarà, a futura memoria per tutti gli aspiranti presidenti della Repubblica, ricordiamo con affetto l’allora presidente della Repubblica, Sandro Pertini, quando il 25 novembre, nonostante il parere contrario del presidente del Consiglio Forlani e altri ministri e consiglieri, si recò in elicottero sui luoghi della tragedia. Di ritorno dall’Irpinia, in un discorso in televisione rivolto agli italiani, Pertini denunciò con forza il ritardo e le inadempienze dei soccorsi, che sarebbero arrivati in tutte le zone colpite solo dopo cinque giorni. Il discorso di Pertini ebbe come ulteriore effetto quello di mobilitare un gran numero di volontari che si recarono nelle zone del sisma per portare aiuto. L’opera dei volontari fu in seguito pubblicamente riconosciuta anche con una cerimonia a loro dedicata in Campidoglio, a Roma.