LA DATA

24 luglio 1908

Il 24 luglio di 110 anni l’olimpiade di Londra del 1908 ci regalò il più celebre sconfitto della storia universale dei giochi. Un omino piccolo, minuto, 159 centimetri di pelle, ossa e nervi, due baffetti disadorni e un capigliatura arruffata. Si chiamata Dorando Pietri e veniva da una frazioncina nelle campagne emiliane di Correggio. Aveva fatto di tutto: bracciante, operaio, garzone da un fruttivendolo e in una pasticceria. Un autentico figlio dell’Italia povera della fine dell’ottocento (era nato nel 1885). Di lui si è scritto che aveva la passione della corsa ma forse è più esatto riferire che egli non aveva altro mezzo che le gambe per spostarsi; quindi correre, per Dorando, era un normale esercizio quotidiano. Tanto che a 19 anni gli venne naturale seguire uno dei concorrenti che partecipava a una corsa di gran fondo organizzata a Carpi, vicino casa. Quel giorno Dorando, vestito ancora con abiti e scarpe da lavoro, riuscì tranquillamente a mantenere il ritmo dell’atleta, addirittura fino al traguardo.

Accade che quel corridore, che poi vinse la gara, fosse Pericle Pagliani, ovvero il più forte podista dell’epoca. Così, per caso quel giorno, nacque una stella. Il minuto garzone, in men che non si dica, entrò nel giro dei grandi atleti nazionali. Lo iscrissero a molte corse nelle quale trionfò, fu portato a Parigi dove vinse la 30 chilometri e poi anche ad Atene dove nel 2006 tagliò per primo in traguardo nella maratona nei giochi olimpici intermedi.

Per lui l’appuntamento di Londra, per l’Olimpiade vera, fu quindi scontato. E infatti il 24 luglio 1908 fu ai nastri di partenza, davanti al Castello di Windsor, insieme a 56 atleti tra i quali solo un altro italiano, Umberto Blasi. Durante la corsa, Dorando, che indossava un paio di calzoncini rossi e una trasandata maglietta bianca col numero 19, restò nelle retrovie fino a metà percorso quando iniziò una rimonta che al 39esimo dei 42 chilometri lo portò in testa. Sembrava fatta. Invece in quell’ultimo piccolo tratto, il podista emiliano visse la propria via crucis. Una feroce crisi di stanchezza, di fame, di sete, gli bloccò il passo. Nei pressi dello stadio, dove era stato piazzato lo striscione dell’arrivo, sbagliò strada, tornò indietro, cadde ma riuscì a rialzarsi; per altre quattro volte stramazzo al suolo e all’arrivo giunse barcollando e solo grazie all’aiuto di un medico e di due compassionevoli giudici di gara che di fatto lo trascinarono oltre la linea bianca. Finì la giornata in ospedale dove lo ricoverarono privo di conoscenza.

Nel compiere gli ultimi 500 metri impiegò più di 10 minuti durante i quali tutto lo stadio fece il tifo per lui.

Non ebbe però nessuna medaglia perché venne accolto il reclamo del secondo classificato l’americano Johnny Hayes («Pietri è stato aiutato a tagliare il traguardo»).

I titoli in cronaca però furono tutti e solo per il dramma del minuscolo atleta italiano la cui incredibile maratona resta nella storia delle Olimpiadi. Gli annali dei giochi riportano la foto del tragico arrivo di Pietri ma anche il ritratto gongolante di Dorando con la grande coppa d’argento che volle regalargli la regina Alessandra.

Tornato in Italia, Pietri smise di correre e finì i suoi giorni in una panetteria che aveva messo su grazie ad una sottoscrizione promossa dal “Daily Mail” su sollecitazione dello scrittore Arthur Conan Doyle per il quale il «vero vincitore della maratona di Londra 1908 fu l’italiano Dorando Pietri».

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