LA DATA

26 gennaio 1980

Il 26 gennaio del 1980 (secondo alcuni siti, invece, il 27), moriva uno dei più amati e grandi comici italiani: Giuseppe De Filippo, detto Peppino, figlio di Edoardo Scarpetta e Luisa De Filippo, fratello di altrettanti miti del teatro napoletano: Edoardo e Titina. Era nato a Napoli, il 24 agosto del 1903. Il padre non riconobbe mai nessuno dei figli, ragion per cui i tre presero il cognome della madre Luisa.

Trascorse i primi anni dell’infanzia a Caivano esibendosi sui palcoscenici fin da bambino. Con i fratelli fondò la compagnia “Teatro Umoristico: I De Filippo” ma nel ’41 per forti dissidi tra i due maschi – tra cui la relazione che aveva in corso con Lidia Maresca (attrice di fama tra le protagoniste di Signori si nasce, che ne divenne la seconda moglie) – si separò. Un fatto doloroso, se non altro perché i due non si riconciliarono per diversi anni e mai più recitarono insieme, che gli permise però di trovare un proprio stile teatrale, caratterizzandosi per il tono leggero delle sue opere rispetto a quello del fratello Edoardo.

È stato un grande maestro dell’arte di far ridere. Fu attore, comico e drammaturgo ed è indiscutibilmente ricordato come uno degli autori più popolari del nostro Paese. Fu coprotagonista – non spalla – di Totò e insieme formarono una delle più straordinarie coppie comiche nella storia del cinema italiano ed europeo. Film come Totò, Peppino e… la malafemmina – memorabile la scena della lettera dettata da Totò e scritta da Peppino, diventata un vero cult, citata anche da Benigni e Troisi nel film Non ci resta che piangere – oppure l’indimenticabile La banda degli onesti. Fu anche attore per registi di assoluta fama come Federico Fellini a Alberto Lattuada.

Lavorò molto anche in televisione, costruendo uno dei personaggi immagine più noti al grande pubblico: Pappagone un umile servitore ingenuo ma furbo, seppur ignorante, che si esprimeva in un gergo bizzarro dagli effetti esilaranti, tanto che tutt’ora, nei linguaggi forbiti della critica e del giornalismo, è uso citare Pappagone come esempio di cialtroneria. Il suo lavoro fu ereditato dal figlio Luigi che ne seguì le orme.