LA DATA

3 agosto 2004

«Il reportage è un’attività progressiva della testa, dell’occhio e del cuore per esprimere un problema, fissare un evento o una qualche impressione. […] Per me la fotografia è il riconoscimento simultaneo, in una frazione di secondo, del significato di un fatto da un lato e dell’organizzazione rigorosa delle forme, visivamente percepite, che esprimono questo fatto dall’altro».
(Henri Cartier-Bresson in L’instant décisif, prefazione a Images à la sauvette, Paris, Verve, 1952)

Il 3 agosto 2004 è la data in cui si è conclusa, a un passo dai novantasei anni, l’esistenza di un uomo e di un artista che dalla vita ha avuto tutto ciò che si può chiedere: fama, libertà, ricchezza. Una vita lunga, quella di Henri Cartier-Bresson; così al centro della Storia, quella con la esse maiuscola, da essere soprannominato “l’occhio del secolo”.

Nato nel 1908 in una famiglia alto borghese, Cartier-Bresson acquistò la sua prima macchina fotografica nel 1931, dopo un lungo viaggio in Costa D’Avorio: è una Leica 35 mm con una lente da 50 mm, sua fedele compagna di viaggio per molti anni. Prima di allora aveva studiato pittura sulle orme di suo zio Louis, frequentando l’atelier del pittore Jacques-Emile Blanche, che gli fece conoscere i surrealisti; fra il 1927 e il 1928 è allievo del pittore e teorico del cubismo André Lhote. Alla pittura Cartier-Bresson tornerà a dedicarsi anima e corpo dopo gli anni Settanta.

«Per quanto riguarda la fotografia, non ci capisco nulla», diceva: le foto se le faceva sviluppare, non amava occuparsi della parte tecnica, che gli pareva distraente. Secondo Cartier-Bresson la cosa importante, in una fotografia, è saper cogliere gli «istanti decisivi», riuscendo a «mettere sulla stessa linea di mira il cuore, la mente e l’occhio», e infatti per almeno 25 anni fu acuto osservatore del teatro globale degli affari umani, oltre che uno dei più grandi ritrattisti del ventesimo secolo.

Nel 1935 chiude temporaneamente con la fotografia e si dedica al cinema, appassionandosi al genere del documentario, e per un paio di anni affianca Jean Renoir nella regia. Tornato alla fotografia, nel 1936 parte per la Spagna come inviato del “Paris-Soir”, per documentare la guerra civile. Nel 1940 viene catturato dai tedeschi, passa tre anni in prigionia e al terzo tentativo di fuga riesce a evadere dal campo e a ritornare a Parigi, dove fotografa la fine della guerra. Documenterà poi, in Germania, la liberazione di prigionieri e deportati, realizzando anche un documentario intitolato Le Retour.

Dalla fine della guerra in poi si sposterà da un continente all’altro vendendo le sue foto a “France-Presse”, “Vu”, “Paris-Match” e ad altre riviste. Nel 1946 Cartier-Bresson scopre che il MOMA di New York gli vuole dedicare una mostra postuma, nella convinzione che fosse morto in guerra: si trasferisce così, assieme alla moglie Martine Franck, negli Stati Uniti, dedicandosi alla prestigiosa esposizione, che verrà inaugurata nel 1947; in America lavora anche per la rivista “Harper’s Bazaar”, realizzando una serie di reportage.

Sempre al 1947 risale il sodalizio con altri due grandi nomi del fotogiornalismo, David Seymour e Robert Capa, con i quali, con l’aggiunta di George Rodger, dà vita alla più grande agenzia di fotogiornalismo del mondo, la Magnum Photos. I quattro si spartiscono le aree del mondo in cui realizzare reportage: Capa e Seymour l’Europa, Rodger l’Africa e il Medio Oriente, Cartier-Bresson l’Asia: prima tappa sarà l’India, a documentare la lotta di indipendenza dall’Inghilterra: incontrerà anche il Mahatma Gandhi, poche ore prima che venisse assassinato.

Nel 1952 pubblica per l’editore Tériade la sua prima raccolta di fotografie, Images à la sauvette, con copertina di Matisse, per la quale scrive la famosa prefazione programmatica intitolata L’instant décisif.

Negli anni Cinquanta perde sul campo i suoi colleghi e amici Robert Capa, nella guerra d’Indocina, nel 1954, e David Seymour durante il reportage sulla crisi di Suez, nel 1956. Il mondo della fotografia è cambiato, è sempre più legato alle leggi del mercato dell’informazione, l’etica di libertà di stampa in cui era nato è ormai lontana: Cartier-Bresson lascia la Magnum e continua la sua attività come fotografo indipendente; si dedica ai ritratti e negli anni Sessanta ritrae molti volti celebri del Novecento, da Marthin Luther King a Coco Chanel, Marcel Duchamp, Henri Matisse, Jean Paul Sartre, Ezra Pound, Truman Capote, Che Guevara, Marylin Monroe, Arthur Miller e tanti altri.

I suoi viaggi da fotoreporter intanto proseguono, nel 1960 è in Italia, nel 1964 in Messico e nel 1968 gira per le strade di una Parigi in rivolta per raccontare la contestazione studentesca. Nel breve giro di pochi anni lascerà la fotografia in via definitiva, dedicandosi solo alla pittura; nel 2003 creerà a Parigi, assieme a sua moglie, la Fondation Henri Cartier-Bresson, per custodire le sue opere e per creare uno spazio espositivo aperto a tutti gli artisti. Non ha mai smesso, per tutta la vita, di definirsi un pittore, vivendo la fotografia come un modo alternativo di disegnare, più adatto al suo sguardo impaziente.

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