LA DATA

4 agosto 1978

Il 4 agosto 1978 l’atleta Sara Simeoni stabilisce il record mondiale di salto in alto, saltando la bellezza di 2,01 metri. Quell’anno salterà questa misura per ben due volte, il 4 e il 31 agosto, e il suo record mondiale rimarrà ineguagliato fino all’8 settembre 1982, quando la tedesca Ulrike Meyfarth ha saltato un centimetro più in alto; a livello nazionale, invece, il suo primato è stato superato solo l’8 giugno 2007, ai Campionati del mondo di Osaka, da Antonietta Di Martino che è arrivata seconda saltando 2,03 metri.

Nata a Rivoli Veronese nel 1953, Sara è passata all’atletica dopo aver lasciato la danza classica: aveva vinto l’audizione alla Scala, ma avrebbe dovuto entrare nel convitto della scuola di danza, rinunciando alla vita in famiglia e all’ultimo scampolo della sua infanzia, un sacrificio troppo grosso per una ragazza di dodici anni. E poi, come dice lei stessa: «Volevo fare la ballerina, ma sono alta 1,80 con piede 41».

Nella sua carriera sportiva ha vinto moltissimo: quattro titoli di campionessa europea indoor, un titolo europeo nel 1978, 14 titoli di campionessa italiana, e ha partecipato a quattro edizioni dei giochi Olimpici: 6° posto a Monaco di Baviera nel 1972, medaglia d’argento a Montreal nel 1976, medaglia d’oro a Mosca 1980, ancora medaglia d’argento a Los Angeles 1984.

Il suo salto da record mondiale lo fa allo stadio di Brescia, davanti a molti spettatori, ma i giornalisti erano tutti a seguire l’atletica maschile a Venezia, delle donne non si occupava nessuno: da quel giorno in poi cominciarono a occuparsene tutti.

Non dev’essere facile rimanere salde e costanti nell’impegno, quando hai tutti i fari puntati addosso: Sara ci è riuscita, e per conquistare la medaglia d’oro di Mosca vince su se stessa e sulla crisi di panico che la sta bloccando a mezz’ora dal salto. Sono anni di atleti rigorosi, fra le fila italiane c’è anche Pietro Mennea, suo compagno di gare alle Olimpiadi di Mosca, anche lui silenzioso, un asceta dello sport. Si allenano insieme, si incoraggiano. Quando Mennea muore, nel 2013, per Sara è un duro colpo: «Pietro ed io lavoravamo lontano dai riflettori. Eravamo due atleti fuori moda. Lo siamo rimasti. Caparbi, sinceri, due che non si adeguano. Lui anche più di me. Siamo cresciuti in un mondo meno asettico, dove c’era più spazio per essere veri. Quando abbiamo smesso non ci hanno mai coinvolti nello sport. Troppo spigolosi, poco comunicativi».

Questa uscita di scena dal modo dello sport, nonostante le sue migliori intenzioni, Sara non l’ha mai digerita: «Nel 1986 quando ho smesso con le gare mi sono dedicata ai giovani, lavoravo con famiglie e tecnici, un bel progetto, funzionava. Il giocattolo d’un tratto me l’hanno tolto di mano, gli hanno cambiato nome e affidato a altri. Poi ho puntato sulle scuole. Ma dopo un po’ sono stata, come si dice, schienata, abbandonata e emarginata. Eppure non cercavo cariche e onori, volevo fare qualcosa in un campo che credo di conoscere bene. Io ho fatto sport in un certo modo e, anche dopo, i miei comportamenti non sono cambiati. Si vede che non andavo bene» (da Huffpost). A maggio 2017 è uscita la sua biografia per Pacini Fazzi Editore, in una collana nata per raccontare la vita di donne che hanno fatto la storia dalla politica alla cultura, dal giornalismo allo sport: sarà stata senz’altro l’occasione di raccontare i motivi di questa emarginazione.

Scrive di lei la Treccani: «È stata la più grande atleta italiana di tutti i tempi, ineguagliata per quantità e qualità di successi e di elevato rendimento agonistico. Capace sempre di affrontare con serenità le competizioni, non disperandosi nella sconfitta, non esaltandosi oltremisura nella vittoria». Proprio come avrebbe detto Archiloco.

E ora, ecco un po’ di salti…