LA DATA

5 aprile 1994

LINA SENSERINI 

Un colpo di fucile in bocca per mettere fine ad una esistenza travagliata e dolorosa, benché costellata da successo, fama e denaro. Perchè «it’s better to burn out than to fade away» (è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente), aveva scritto nella lettera di addio, citando un verso di Hey Hey, My My di Neil Young.

Se ne è andato così, il 5 aprile del 1994, nella sua casa di Seattle, Kurt Cobain, leader e frontman dei Nirvana, uno degli artisti più amati di tutti i tempi. Aveva solo 27 anni, la stessa età in cui erano morti anche Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin e Jim Morrison, ma era già all’apice di una carriera folgorante. Come altri grandi prima e dopo di lui, la drammatica morte lo ha consegnato alla leggenda e all’immortalità, più di quanto non avesse già fatto la sua musica.

Il corpo venne trovato solo tre giorni dopo, l’8 aprile, e la notizia del suicidio di Cobain gettò nello sconforto e nella disperazione milioni di fans in tutto il mondo, che avevano fatto del grunge uno stile di vita, che si riconoscevano nei testi amari e senza speranza delle canzoni dei Nirvana. Quella Generazione X, di cui Cobain è stato il simbolo, l’icona e l’anima. Con la sua musica e i suoi eccessi ne incarnava il malessere, la mancanza di una identità sociale ben definita, come lascia intendere la “X” della definizione.

A loro si rivolgeva il sensibile Curt, perennemente in lotta con la dipendenza dall’eroina e dagli psicofarmaci, sempre in fuga dalla depressione, mai del tutto superata, aggravata negli ultimi anni della sua vita dalla pressione del successo e dai drammatici eventi ad esso collegati.

Era nato il 20 febbraio 1967 ad Aberdeen, nello stato di Washington, da una famiglia di umili origini, combattuto tra un padre sensibile e sofferente e una madre forte e volitiva. Fin dall’infanzia si era dimostrato un bambino curioso e attento, versatile nella musica e in altre espressioni di creatività, ma anche molto triste e incapace di legare con il mondo che lo circondava. Il divorzio dei genitori, quando aveva 8 anni, non fece che peggiorare la situazione e la sua incapacità di adattamento cominciò a manifestarsi in agitazione. Tanto che a scuola decisero di somministrargli il Ritalin, un metilfenidato tristemente famoso come “la pillola dell’obbedienza”, indicato nel trattamento della sindrome del deficit di attenzione-iperattività.

Quanto sia stato nocivo per Kurt non è dato saperlo, ma è certo che il farmaco non ebbe gli effetti sperati e il disagio che si manifestava in iperattività finì per diventare aggressività. Sempre crescente, tanto che negli anni successivi i rapporti con i genitori si fecero via via più tesi. Finché, intorno ai 17 anni il giovane Cobain ruppe definitivamente con il padre e venne cacciato di casa dalla madre. Il periodo di vagabondaggio che ne seguì è un misto di realtà e leggenda, tra droghe, espedienti per campare, lavori saltuari, chi dice che abbia dormito sotto i ponti, chi sostiene che invece trovava ospitalità dagli amici. Fu lui stesso, anni dopo a sfatare il mito del vagabondo grunge, dichiarando: «Avevo sempre desiderato provare l’esperienza della vita di strada, visto quanto era noiosa la mia vita di adolescente ad Aberdeen, ma non fui mai abbastanza indipendente per farlo». Quegli anni e quelle esperienze sarebbero poi diventate fonte di ispirazione per molte canzoni di successo dei Nirvana.

La nascita del gruppo fondato da Cobain e dal bassista Krist Novoselic, nel 1987, fu la svolta. Il nome richiamava le simpatie buddiste del loro leader, che trovava nella musica l’espressione massima della sua creatività artistica e del suo profondo disagio interiore.

Dopo un inizio faticoso, dal 1989, con la pubblicazione dell’album Bleach, il successo del gruppo conobbe un’ascesa inarrestabile. Mentre i Nirvana raggiungevano l’olimpo con Nevermind, nel 1991, Cobain crollava sempre di più nell’abisso dell’eroina e della depressione. Nel frattempo si era sposato con Curtney Love, anche lei eroinomane, da cui avrebbe avuto una figlia nel 1992, Frances Bean Cobain. Non si contano gli episodi di cronaca di cui la coppia fu protagonista nei pochi anni in cui sono stati insieme, ma certo la relazione insana che avevano non contribuiva a migliorare le condizioni psichiche di Kurt.

Così, il 5 aprile, decise di porre fine alla sua vita, lasciando una lettera-testamento, scritta all’amico immaginario Boddah, che era il suo personale addio al mondo. Quel mondo che lo aveva osannato e idolatrato senza capirlo fino in fondo.