IL NUMERO

80

Sono 80 le copie numerate della prima edizione de Il Porto Sepolto di Ungaretti, la sua prima raccolta poetica stampata a Udine nel 1916, a cura di Ettore Serra. Verrà inserita dal poeta nelle raccolte successive Allegria di Naufragi del 1919, Il Porto Sepolto del 1923, L’Allegria del 1931, con alcune varianti fino all’edizione definitiva de L’Allegria.

«Incomincio Il Porto Sepolto, dal primo giorno della mia vita in trincea, e quel giorno era il giorno di Natale del 1915, e io ero nel Carso, sul Monte San Michele. Ho passato quella notte coricato nel fango, di faccia al nemico che stava più in alto di noi ed era cento volte meglio armato di noi. Nelle trincee, quasi sempre nelle stesse trincee, perché siamo rimasti sul San Michele anche nel periodo di riposo, per un anno si svolsero i combattimenti. Il Porto Sepolto racchiude l’esperienza di quell’anno».

Tutte le poesie della raccolta furono scritte su foglietti di fortuna, raccolti alla meglio nel tascapane del soldato Ungaretti, non destinati ad alcun pubblico, perché ogni atto di vanità, in una simile circostanza, gli sarebbe sembrato una profanazione; il giovane tenente Ettore Serra lo accostò, gli chiese il nome, e Ungaretti gli raccontò che non aveva «altro ristoro se non di cercarmi e di trovarmi in qualche parola, e ch’era il mio modo di progredire umanamente. Ettore Serra portò con sé il tascapane, ordinò i rimasugli di carta, mi portò, un giorno che finalmente scavalcavamo il San Michele, le bozze del mio Porto Sepolto».

A lui il poeta dedicherà l’ultima poesia della raccolta, Commiato, il cui titolo nella prima edizione era Poesia, e infatti è una vera e propria dichiarazione di poetica:

Gentile
Ettore Serra
poesia
è il mondo l’umanità
la propria vita
fioriti dalla parola
la limpida meraviglia
di un delirante fermento

Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita
come un abisso

Ungaretti afferma qui cos’è, secondo lui, la poesia stessa, la parola qui crea, fa fiorire il mondo, l’umanità, la propria vita. Il mondo è diverso a seconda di come ce lo raccontiamo e lo raccontiamo agli altri: la poesia, l’atto poetico, crea uno degli aspetti di questo mondo, e non solo del mondo, ma anche di chi sta in quel mondo e di tutti coloro che lo circondano.

Poesia è il mondo l’umanità la propria vita fioriti dalla parola, generati dalla parola: e che cosa è questa parola? La limpida meraviglia di un delirante fermento; non è un caso che Ungaretti, per definire la parola poetica, usi una parola usata dal massimo poeta del barocco italiano, Marino, che per indicare il compito del poeta scriveva: «È del poeta il fin la meraviglia», ovvero lo stupore di qualcosa di nuovo, di diverso, che si situa all’interno della realtà enucleandosi dal caos, quella realtà in cui niente è ancora nato ma tutto vive, sobbolle nel caos primigenio ma ricco di ogni significazione, il delirio che contiene ogni possibile forma della realtà, da cui si stacca un qualcosa che è determinato, la limpida meraviglia.

Una volta definito cosa è la poesia, qual è il suo ruolo nella realtà, ecco che la riflessione si sposta sul proprio atto poetico: quando trovo in questo mio silenzio una parola scavata è nella mia vita come un abisso. Commiato termina con una parola che non a caso richiama immediatamente Baudelaire, cioè l’abisso, le gouffre. Ma che cos’è questo abisso? È il luogo del silenzio, della oscurità, il luogo in cui ancora niente si è manifestato ma tutto è pronto per manifestarsi, nel rapporto continuo, che già si definisce in questa prima parte della produzione poetica ungarettiana, tra infinito e finito, il silenzio e la parola, tra determinato e indeterminato, tra limitato e illimitato, tra il segreto di una verità inconoscibile e il mondo, il tempo, la storia, la memoria: quando trovo in questo mio silenzio una parola, questa parola è scavata dentro la mia vita – aveva detto poesia è il mondo l’umanità, la propria vita – questa parola è scavata dentro la mia vita, si identifica in modo tale con la mia vita, così come dentro un abisso, nell’abisso del mio silenzio: che è poi il silenzio, il segreto di tutta una realtà che non è conoscibile, avrebbe detto il poeta stesso tanti anni dopo, se non per frammenti, ma questo primo frammento è per l’appunto quello della parola.

Al Porto Sepolto appartengono molte delle poesie più conosciute di Ungaretti, quasi avesse scritto solo fino al 1916, e dalle scuole medie in poi alcuni versi restano in testa per sempre, da quelli di Veglia a Fratelli, ai versi finali di Sono una creatura: «La morte / si sconta / vivendo», fino a San Martino del Carso. Ma più di tutte ricordiamo I Fiumi, anche grazie alla sua lettura televisiva degli anni Sessanta, quando la poesia riusciva addirittura a entrare nei palinsesti della televisione pubblica: