LA PAROLA

Affabulare

Dal francese affabuler, che a sua volta deriva dal latino fabula, con il significato di «dare forma di favola, sviluppare in un intreccio o in un’azione scenica», scrive il vocabolario Treccani. «Il verbo, nei rari esempi che se ne hanno, non ha in genere un significato preciso, ma piuttosto valori allusivi, con riferimento più o meno diretto alle varie accezioni di favola».

In estrema sintesi, affabulare significa raccontare “favole” e raccontarle così bene, da farle sembrare vere. Il che sarebbe accettabile se l’affabulatore fosse un individuo che recita per mestiere, un attore che deve divertire il proprio pubblico con storie la cui veridicità è un fatto secondario rispetto al piacere di godersi lo spettacolo.

In realtà chi affabula è tutt’altro che un professionista della recitazione. È un professionista, sì, ma delle fandonie. È un attore nel senso negativo del termine, perché racconta eventi, intrecciando il vero e il falso, con tale capacità “scenica” e narrativa da indurre chi ascolta a ritenerli veri. Sono sinonimi di affabulare, infatti, imbambolare, incantare chi ascolta, inducendolo, ad esempio, a comprare pentole e tappeti in una televendita come se fosse l’affare del secolo. Per scoprire all’arrivo del pacco con le pentole e i tappeti di cui sopra, che l’affare del secolo l’ha fatto il venditore.

Affabula chi convince il proprio/i propri interlocutori di essere la persona giusta al momento giusto, per quello specifico compito, vantando esperienze lavorative che alla prova dei fatti si rivelano infondate. Affabula il politico a caccia di voti, tracciando il futuro glorioso del territorio che si appresta a governare con l’aiuto degli elettori che gli daranno fiducia e lo voteranno.
Affabulare, in questo caso, significa strutturare il soggetto e la forma espositiva della narrazione in modo da compiere un’opera di persuasione in chi ascolta.

Ma se affabulare altro non è che l’intreccio di un’opera di immaginazione, ad “essere affabulati” non sono solo coloro che devono essere persuasi a fare qualcosa, come comprare proprio quelle pentole e quei tappeti o votare proprio quel candidato. Il verbo, infatti, ha anche il significato di catturare l’attenzione: dei lettori, degli spettatori, degli ascoltatori, ad esempio, grazie alla capacità espositiva e narrativa di chi racconta e di chi scrive.

È inevitabile citare Affabulazione, la tragedia che Pier Paolo Pasolini scrisse nel 1966, definita nella quarta di copertina dell’edizione Einaudi «la straziata metafora di un mancato dialogo tra due generazioni, in quegli anni Sessanta in cui il reciproco silenzio portò il nostro paese a conflitti drammaticamente cruenti». Celebre il “Padre nostro” che chiude il secondo degli otto episodi,

 

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