LA PAROLA

Buonsènso

C’è, questa parola, sul vocabolario della Treccani che però – va precisato – non è esattamente una parola, sono due, o meglio una composta da due, buòn e sènso, ed è uno di quei casi in cui per spiegarla occorrerebbe spiegare prima per benino cosa significhino le due che la precedono. Sì, certo, cosa significa buono lo sanno tutti, tutti sanno che una cosa è buona, soprattutto quando ce n’è un’altra che è cattiva. Ed anche il senso, nella sua accezione di «facoltà di ricevere impressioni da stimoli esterni o interni e per estensione la percezione e coscienza di fatti interni», è concetto che – per quanto complesso, non elementare, abbastanza astratto da dover richiedere nella sua elaborazione strumenti concettuali piuttosto evoluti e sofisticati – è a disposizione di quasi tutti, non importa aver studiato tanto per averne un’idea.

Anche quando si arriva a maneggiare la parola buonsènso (talvolta detta separando le due parole che la compongono, buòn sènso o anche sostituendo la prima “u” con una “o”, bonsènso) c’è qualcosa di intuitivo che aiuta ad avvicinarci alla definizione esatta, la quale è: «capacità naturale, istintiva, di giudicare rettamente, soprattutto in vista delle necessità pratiche».

Per meglio comprenderla aiutano i suoi possibili sinonimi: «assennatezza, criterio, equilibrio, giudizio, oculatezza, praticità, senno, spirito pratico».

La verità è, però, che quando poi si va ad applicare la teoria alla pratica, ovvero si cerca di definire quale sia il comportamento che riflette quella «capacità naturale, istintiva», diventa assai più arduo affidarsi a ciò che inizialmente appariva così “intuitivo”.

Tant’è che c’è bisogno di invocarlo talvolta il buonsenso, quando ad uno pare che l’altro non se ne avvalga, non ne faccia uso: «che diamine!, un po’ di buonsenso!». Ma l’altro, ci sta, è del tutto certo che il suo incongruo comportamento, le sue mattane, siano del tutto sensate, logiche, ben motivate.

Nell’appellarsi in quel modo, nell’usare quell’esclamazione, al primo risulta che il secondo stia arzigogolando in chissà quale bizzarra maniera, scollato dalla realtà e, per così dire, per aria. E invece al secondo tutto ciò appare talmente ovvio che si stupisce dinanzi al richiamo dell’altro.

Eppure trovarsi d’accordo nel definire un terzo «un uomo pieno di buonsenso» non è così difficile, ma il paradigma talvolta cede dinanzi al proprio sentito, vissuto, esperito, dinanzi alla singolarità dei fatti che inducono ad un comportamento osservando il quale a qualcuno venga da esclamare: «che diamine!, un po’ di buonsenso!».

Certamente il buonsenso non va confuso con il “senso comune”, questo sarebbe davvero un grave errore, che malauguratamente spesso vien fatto. Ne è testimonianza il fatto che il “senso comune” ha alimentato per secoli guerre, conflitti e sopraffazioni che, con un po’ di buonsenso, si sarebbero tranquillamente potuti evitare, ed anche tante dolorosissime tensioni in ambito familiare o più in generale nelle relazioni tra gli individui – siano esse d’amore, d’amicizia o d’affari – potrebbero essere risparmiate avvalendosi di quella «capacità naturale, istintiva, di giudicare rettamente, soprattutto in vista delle necessità pratiche».

Diceva saggiamente il Manzoni: «il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune», intendendo con “senso comune” l’opinione della maggioranza, contrapposta alla saggezza istintiva dei singoli.

Fermarsi un attimo a riflettere, facendo sbollire ben bene rabbia, rancore, invidie e gelosie, spinge a trovarlo il buonsenso, l’assennatezza, il criterio, l’equilibrio, il giudizio, l’oculatezza, il senno, lo spirito pratico. E che sia quello giusto o meno, si sarà comunque tentato assennatamente.

 

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