LA PAROLA

Madonna

Madonna è il titolo che veniva utilizzato, in periodo medievale, rivolgendosi alle donne di condizione sociale elevata, di solito la moglie di un Signore. Anteposto al nome della persona, le conferiva lo status di padrona, data anche l’origine del termine dal latino mea domina, appunto mia signora.

La Madonna è Maria (Miriam, in ebraico) la santissima madre di Gesù, venerata con titolo mia domina, cui il lemma attribuisce un valore di fede assoluta.

Madonne sono i quadri, le statue e le raffigurazioni artistiche della vergine Maria e madonna è il nome che viene attribuito in botanica ad alcuni tipi di piante della famiglia delle violacee, al biancospino, all’orchidea Cypripedium calceolus (detta Pianella della Madonna), al Lilium candidum o Giglio della Madonna.

Madonna è un toponimo (Madonna di Campiglio, il quartiere torinese Madonna di Campagna), è il nome di vie e piazze, dove di solito deriva da una raffigurazione della Madonna presente sul posto.

Senza scomodare, inoltre, la signora Louise Veronica Ciccone, che quando scelse Madonna come nome d’arte fece gridare allo scandalo e inorridire i benpensanti. Tanto più che, a dispetto del nome, attirava l’attenzione e le critiche con comportamenti trasgressivi e videoclip iconici.

Infine la madonna, è una figura retorica che può assumere un significato più o meno forte, come esclamazione, invocazione, imprecazione o rafforzativo di un concetto. Si dice, ad esempio, «fa un caldo della madonna», «tira un vento della madonna», «una fatica della madonna».

Oh madonna!, è un’esclamazione di meraviglia, di stupore, ma anche di preoccupazione o timore, al pari di Oh Dio!, Oh Gesù!.
Quando invece alla parola si accompagna un aggettivo, il nome di un animale, un sostantivo dal significato non propriamente edificante, ecco che l’espressione si trasforma un un’imprecazione, una bestemmia, il famoso moccolo, che può avere per protagonisti indistintamente Dio, Gesù, la Madonna, qualche santo, Eva (ma non Adamo), ecc.

E qui veramente si sbizzarrisce la fantasia del bestemmiatore di turno, che commette peraltro peccato mortale, contravvenendo al secondo comandamento: «Non nominare il nome di Dio invano». Che poi è da vedere se è invano, come cantava De André, «con un coltello piantato nel fianco/gridai la mia pena e il suo nome», nella celebre canzone Il testamento di Tito.

In alcune culture, ad esempio nel dialetto toscano, la bestemmia è un intercalare al pari di cioè, quindi, dunque; viene usato per rafforzare i concetti, è un’esclamazione di stupore o di rabbia, è una forma liberatoria di sfogo attraverso le parole. Senza voler assolvere la bestemmia dall’evidente volgarità che la connota, il tirar qualche moccolo tanto per far capire che non è aria, alla fine è lecito. «Il garzone lasciò andare un moccolo, che di notte sarebbe bastato a illuminare tutta la strada» (cit. Bruno Cicognani).

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