LA PAROLA

Ciucca

La ciucca è la sbronza, l’ubriacatura, la sbornia. Uno stato psicofisico alterato, la diretta conseguenza dell’aver bevuto troppi bicchieri, per gusto o per vizio. O semplicemente perché uno tira l’altro, perché il vino a cena era veramente buono o la birra fresca come un tuffo nel mare. E in giornate roventi come queste c’è davvero bisogno di farsi un tuffo, nell’acqua fresca o nella scusa di un bicchiere di birra. Ma se quel bicchiere diventa mare, ecco che si è ubriachi e, purtroppo e per fortuna, quasi sempre più felici.

Ma come ogni sostanza che altera la nostra percezione della realtà, gli effetti dell’alcol sono molteplici e variano da persona a persona. Ho visto mansueti taciturni incalliti diventare la copia perfetta di Mr. Hyde, in tante serate passate al bancone di un bar. Quello che per esperienza personale ho imparato “sull’arte” della sbronza (oltre al fatto che i taciturni sono quelli con più rumore nel petto) è che vino, birra e tutto il resto vanno a mescolarsi con la felicità che ci scorre nelle vene in quel preciso momento. Chimica.

Ed ogni volta esce fuori un risultato diverso. Certe volte può essere una cura palliativa al malumore, alla poca felicità quindi, di un periodo grigio partorito male dalla nostra vita. Altre volte ancora, a riprova del fatto che medicina non è, la ciucca mostra il rovescio della medaglia. E come un amore intenso e bruciato in fretta si rigira e mostra i denti, facendo male con la stessa forza con la quale faceva del bene, amplifica la tristezza e i cattivi pensieri, rendendoci impotenti di fronte a noi stessi. Lasciandoci i nervi scoperti ed esposti alle intemperie dei nostri temporali personali.

Quando c’è il sole però, la ciucca è un’ ottima compagna di serate felici e confuse. Si abbraccia con la vita e crea momenti che stringono legami già forti, o ti fa conoscere nuove persone. E in tutto questo galleggiare d’anime nel bicchiere, si scoprono pezzi d’umanità che non sono già più gli stessi il mattino dopo. E non sono fasulli, credetemi, per il semplice fatto che sono esistiti.

La sbronza, la ciucca, in fondo è da sempre legata agli uomini, piccoli o grandi, nel ricordo di quelli ancora vivono. Poeti, scrittori e pugili da bar, pittori e musicisti. Artisti d’ogni arte hanno vissuto una vita, intrecciati tra la lama e la carezza dell’alcol. Jack London gli ha dedicato un libro e un nome col suo John Barleycorn. I cantautori lo bevono per poi scriverlo e infine cantarlo nelle loro canzoni. Sembra esserci da sempre un legame tra l’alcol e l’artista, tra il bicchiere e l’esprimersi con quello che si è bravi a fare. Io credo, più semplicemente, che siano due le ragioni per cui una persona cerca la sbronza. Due ragioni che si negano a vicenda ma che valgono tutto: per sentire di più e per sentire di meno. Per cercare risposte diverse alle solite domande o per smettere di farsele del tutto. La maggior parte di noi, comunque, beve solo per brindare.

Per tutti gli altri invece valgono le parole del Professore, nella canzone che dedica all’amico Francesco. Compagno di sbronze e di tormenti ragionati, a cui promette «..a ciucche dure finiremo per capire, come si vive e ci potremo divertire».

 

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