LA PAROLA

Séco incandìo

Di solito capita d’inverno, alla fine di un’influenza stagionale, nella migliore delle ipotesi. Capita, e imbarazza per la sua verace modalità, a mezzo tra l’affettuoso e il pettegolo: «Cosa xe nato?» («Che ti è capitato?») «ti xe séco incandìo …» («Sei magro da far paura, magro come chi non tocchi cibo da mesi…»). L’espressione, colorita e oscura, ancora in uso a Venezia, si applica – anche se meno di frequente – ai bilanci societari, quando il piatto piange. È talmente stramba che quasi non ci si pensa: probabilmente, un sondaggio indicherebbe che ben pochi in Laguna ne conoscono ancora il significato (e qualcuno l’ha sostituita biecamente con Biafra! o, più recentemente, per estensione, con Africa!).

La vicenda, invece, ha un’ambientazione militar-culinaria da non trascurare; quasi quasi, fa scoprire l’origine dei crackers e del cibo da asporto. Basta fare un salto a ritroso di quasi quattro secoli e trasferirsi a Candia (l’odierna Creta) assediata, durante la lunga guerra combattuta tra Venezia e l’Impero Ottomano. Metà del Seicento: Candia, sotto il controllo della Serenissima, subì uno dei più lunghi assedi (durato oltre 22 anni e conclusosi con la conquista turca). Il 5 settembre 1669 – dopo 29 mila caduti tra i difensori e ben 108 mila tra gli assedianti – il Capitano Generale da Mar Francesco Morosini, che comandava le forze veneziane, firmò la resa con l’onore delle armi e la possibilità per tutti i cristiani di lasciare l’isola, ma senza portare nulla con sé.

Partirono, dunque, i quattromila abitanti superstiti alla  volta di Venezia. Al loro arrivo, dalle condizioni in cui versavano, prese piede in città il modo di dire “essere in Candia”, come “essere agli estremi”, essere sul punto di non farcela. In realtà, nonostante tutto e contro ogni previsione, quei séchi incandìi ce l’avevano fatta.

Ritornò in mente, quella resistenza straordinaria, solo 152 anni dopo l’abbandono dell’isola da parte dei veneziani. Nel 1821 furono ritrovati, infatti, nei depositi di armi della Serenissima a Candia, sacchi e sacchi di gallette dure come il marmo, i cosiddetti frisopi (detti anche biscotti), ancora commestibili. Erano le stesse derrate che il Governo distribuiva agli equipaggi e che era riuscito a far entrare in Candia assediata.

L’assedio di Candia

Ricetta salvifica e segretissima: la preparazione dei frisopi era rigidamente controllata dalla Camera all’Armar, l’organo di supervisione sulla Marineria. Anche la cottura di quelle gallette a lunghissima conservazione, poco attraenti da secche, ma destinate ad essere ammollate col vino, avveniva in forni speciali: 32 solo a San Martino, nei pressi dell’Arsenale, fino al XVII secolo, e poi a Sant’Elena, ad opera di fornai tedeschi. Nell’Ottocento, parevano ancora una splendida eredità della scomparsa Repubblica.

La pappa ottenuta sciogliendo il biscotto era detta frisopìn e finì per far parte del menu non solo di marinai e militari, ma dei veneziani tutti. Da cui le espressioni «magna il frisopìnfatti un ben»: ossia «prenditi cura di te, con buona pace dei turchi».