LA PAROLA

Patatràc

«Che Patatràc, patatràc…» cantavano tre ragazzine carine e allegre nella sigla di una fortunata trasmissione televisiva degli anni ’80. «Che serata che serata…si è rotta la frittata… chissà come finirà…»: una sintesi efficace del significato di questa bellissima voce onomatopeica della nostra lingua, sempre piena di sorprese e di magnificenze lessicali. Scrive il vocabolario Treccani che «patatràc è una voce imitativa di cosa che cada o crolli rumorosamente oppure, in senso figurato, rovina, fallimento economico o altro grosso guaio».

Chi non ha mai fatto un patatràc nella vita? Chi non lo ha sentito nel fondo dello stomaco almeno una volta? Chi non lo ha esclamato, almeno una volta, al precipitare di un evento? Parola legata anche alle competenze e al loro fallimento: quando, ad esempio, le risorse individuali vengono meno e non sappiamo gestire in modo efficace le situazioni. Fallimento dunque.

Ma patatràc è qualcosa di più forte, è un’esclamazione colorita che contiene in sé, oltre allo sgomento, anche un senso quasi di meraviglia. Parola simile, ma dissimile, da fallimento, che viene usata in modo burocratico e asettico.

Patatràc è anche molto divertente e suscita ilarità. Di fronte al piatto caldo che improvvisamente finisce per terra, all’amico che rimane con il manubrio in mano, al cellulare che finisce nel water (…quanti!). Insomma è parola che fluisce dal corpo e diviene battuta umoristica, che suggerisce anche una sana risata. Se il testo delle tre ragazzine era ironico e innocente chiudiamo con il testo rap contemporaneo di Madman nel suo lyric video Patatràc:

«Sai che la mia merda è forte come il crack
Il flow sfonda porte, corre come in crank
Quando droppo un’altra track senti il botto tipo patatràc
Patatràc, patatràc…»

Il patatràc contemporaneo è per i miei gusti un vero patatràc.

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