LA PAROLA

Crostata

La crostata è un rinomato dolce italiano e non solo, una base di fragrante pasta frolla con accomodato sopra un generoso (se ci è andata bene) letto di marmellata, crema o ricotta arricchita con gocce di cioccolato o alkermes. Chi non ha mai assaggiato, da bambino, una fetta di questo goloso intreccio di striscioline zigrinate e lucida confettura?

È curioso come un semplice piatto possa saper trasportate indietro nel tempo, quando si è piccoli e la mente è leggera, lontana dalle preoccupazioni. Un passato non intaccato dalle incombenze della vita adulta, dalle scelte e dalle responsabilità che gravano sul capo di chi ha da gestire conti, ufficio, famiglia, bollette… Tutto era etereo, quasi ricoperto di una patina fine dai riflessi iridescenti, e una giornata in casa poteva trasformarsi in un pomeriggio a costruire capanne indiane con cuscini e lenzuola, piccoli cowboy del selvaggio West e i loro destrieri immaginari a scivolare per i corridoi lanciando in aria il cappello troppo grande calcato alla buona sul capo, trafugato di nascosto dall’armadio di papà urlando il tipico “yippie!” udito così spesso in televisione.

Le scampagnate in famiglia, in compagnia di verdi campi soleggiati tempestati di margherite come perline preziose, agli occhi innocenti di un bambino si possono tramutare in peregrinazioni nel bel mezzo di lande inesplorate, alla ricerca di passerotti fra le fronde e more sbocciate sui rami spinosi nei quali, inevitabilmente, andavano a impigliarsi i vestiti. E la domenica al mare? Unici naufraghi del Titanic, menando bracciate scoordinate per rimanere a galla fra i flutti spumosi di acqua salata; sirene dalla coda variopinta e luccicante, regine del mare dotate di una prorompente voce melodiosa, in grado di ammaliare  chiunque. Tra le onde irriverenti, la sola certezza posseduta era l’identità del nemico più acerrimo: le meduse! Che grandi corse per non farsi ghermire da quei mostruosi tentacoli assassini, urticanti e venefici.

E una volta giunta l’ora del rientro dei cavalli nelle stalle, quando gli esploratori tornavano stanchi dai genitori con le tasche piene di frutti di bosco e naufraghi e sirene erano avvolti in morbidi teli da mare, puntuale, inequivocabile, fedele, ecco la fetta di crostata incartata in un odioso fazzolettino di carta, che ruba sempre un po’ di marmellata alle bocche avide dei bimbi.

Giunta l’adolescenza, la maturità, quella merenda non ha più lo stesso sapore… Scompaiono i giochi, la creatività fiera di se stessa subisce una brusca battuta d’arresto, alla corsa sfrenata dell’immaginazione viene posto un limite. Iniziano a contare di più altre cose rispetto al divertimento vero, sostituito da uno sterile senso di inadeguatezza che spinge verso l’omologazione alla moda di turno, l’essere popolari, l’ubriacarsi il sabato sera. Il mondo è più grigio una volta che è fatto di impegni e scadenze da rispettare, di ingranaggi da far combaciare. Ma non deve andare per forza così. Ci sono delle persone che nel profondo del loro cuore tengono celato un animo delicato, pronto a stupirsi, pieno di energia. Conservano il loro io bambino, loro compagno di vita, che salta fuori appena ve ne è l’occasione; è una leggerezza che aiuta a fronteggiare le difficoltà del giorno che verrà, in grado di donare una luce positiva a tutto ciò che investe con i suoi raggi galvanizzanti, che fa aprire al divertimento e alla spensieratezza di un tempo senza trascinarsi dietro insicurezze o timori. È quella potenza esplosiva che fa apprezzare le piccolezze della vita, a partire da un pezzo di crostata.

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