LA PAROLA

Farmaco

Il suo significato è bipolare: è ciò che cura e sana, ma può essere anche ciò che avvelena e uccide. Ma è possibile che un farmaco possa essere un veleno e che un veleno possa curare? Certo che sì. È solo questione di quantità, che non potrà essere la stessa per un bambino di sei anni, per un uomo di 80 chili o per un cagnolino che pesa come un neonato: la dose eccessiva di un farmaco può essere letale, la dose ridotta e calibrata di un veleno può curare (o immunizzare, come nel caso dei vaccini). «È la dose che fa il veleno», diceva già Paracelso.

Ma che c’entra il farmaco con il veleno? Ce lo racconta l’etimologia: farmaco viene dal greco ϕάρμακον, termine che significava sia medicina sia veleno. Per capire meglio questo dualismo basta ricordare il rito purificatorio in uso nelle antiche città greche che prevedeva la cacciata dalla polis di un individuo chiamato ϕάρμακος, il “maledetto”, il reietto, una sorta di capro espiatorio. Si trattava di un povero disgraziato, che veniva mantenuto a spese pubbliche finché non si verificava la necessità di scacciarlo a pietrate dalla città per allontanare da essa la sfortuna, la carestia, conflitti o calamità naturali. Così come si espelle un male dal corpo attraverso un farmaco, il rito incarnato dal ϕάρμακος assolveva una funzione terapeutica nelle antiche società greche. Portando in sé ogni sciagura, questo poveretto rappresentava al tempo stesso il male ma, allontanato dalla comunità, anche la salvezza e la cura di quel male. Nel termine farmaco c’è dunque un retroterra di significati, che vanno dalla droga, allo stregone, alla pozione magica, al veleno e alla medicina. Oggi questa polisemia non viene percepita e farmaco è soltanto ciò che caccia il malanno dal nostro corpo.

I vocabolari però non celano le sfumature. Secondo la definizione del Treccani, farmaco è «qualsiasi sostanza, inorganica o organica, naturale o sintetica, capace di produrre in un organismo vivente modificazioni funzionali, utili o dannose, mediante un’azione chimica, fisico-chimica o fisica». Utili o dannose – dice proprio così – possono essere le modificazioni nell’organismo indotte dal farmaco, che è cosa diversa dal medicamento, ovvero ciò che serve a ristabilire un equilibrio alterato o a riparare una lesione.

I farmaci sono poi ordinati in categorie in base ai loro composti o agli effetti che producono: oppiacei, sulfamidici, antispastici, antipiretici, analgesici e così via. Un farmaco è orfano se serve per curare una malattia rara, generico quando contiene un principio attivo il cui brevetto è scaduto e quindi può essere messo in vendita da qualsiasi casa farmaceutica e a prezzo ribassato soltanto con il nome del principio attivo (per esempio, la fluoxetina è il nome generico del Prozac). Un farmaco intelligente (sperando che tutti gli altri non siano stupidi) è quello che riesce a mirare dritto al bersaglio colpendo solo le cellule malate. Un farmaco killer è quello che produce inaspettati effetti letali.

A ogni farmaco è allegato un foglietto illustrativo, il “calepino”, con le indicazioni sui tempi, i modi e le dosi d’assunzione, detto anche popolarmente “bugiardino” perché un tempo era scritto in maniera quasi incomprensibile per i non addetti ai lavori e dava l’impressione di non dire tutta la verità. Oggi le norme sono molto più severe e gli effetti indesiderati, da quelli più diffusi a quelli più rari, vengono riportati in lunghissime liste. Il monitoraggio e il coordinamento delle informazioni in Italia è garantito dall’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) sottoposta alla vigilanza del ministero della Salute e di quello dell’Economia. Ogni farmaco ha una data di scadenza e deve essere smaltito in contenitori appositi perché se mescolato ai rifiuti organici o indifferenziati può produrre effetti tossici. L’inglese drug e il tedesco Drogue (medicina, ma anche droga) rendono bene l’idea dell’eterno dualismo che il farmaco porta in sé.

In senso lato, farmaco è tutto ciò che lenisce una pena, un dolore, dell’animo come del fisico. Il tempo – si dice – è un farmaco per tutti i mali. A volte, una carezza, un abbraccio o una parola di conforto sono il miglior farmaco. Così come la letteratura, la musica e l’arte. Tornando alle origini della parola, ϕάρμακον viene usata da Platone nel Fedro per definire l’ambivalenza dei libri, con gli effetti benefici o dannosi che possono produrre, e della scrittura, al tempo stesso medicina e veleno. Un concetto che, soprattutto chi scrive per professione, dovrebbe sempre tenere presente.

Tags