LA PAROLA

Fortuna

Fortuna è potersi mettere al computer per scrivere la parola fortuna. Una serie di “fortuite” coincidenze – il possesso del computer, l’acquisizione dell’uso della lingua per potersi documentare sull’argomento e poi scriverne, esseri vivi innanzitutto – lo hanno reso possibile e si potrebbe stare ore ed ore a discettare se si sia trattato di “caso” e “sorte” – questo vuol dire in latino la parola fors, fortis da cui fortūna deriva – o quanto invece abbia influito e condizionato l’intervento dell’ingegno umano. Se cioè quel computer non sia piovuto dal cielo, quella lingua appresa abbia comportato fatica, ci si sia difesi come meglio possibile nel corso del tempo per essere ancora qui a scrivere la parola fortuna.

I fautori del predominio “casuale” – gli indeterministi si direbbe in filosofia – l’avrebbero comunque vinta in tal diatriba, anche se i sostenitori del principio di “causalità” darebbero loro tanto filo da torcere, gli farebbero vedere i sorci verdi.

Fortuna era il nome di un’antica divinità romana, capace di decidere i destini degli uomini, attribuendo loro felicità, benessere, ricchezza, oppure sventura, dolore, miseria. Dea bendata, che non stava a guardare in faccia chi beneficiava e chi malediva: una forza cieca ed incorruttibile, per di più instabile, alterna, come dimostra la ruota su cui poggia il suo infermo piede.

A lei prestano attenzione Dante, Petrarca, Machiavelli, Foscolo i quali, per così dire, han fatto la sua fortuna, o, di contro, hanno avuto la fortuna di poterle prestare attenzione, o per fortuna sono stati Dante, Petrarca, Machiavelli, Foscolo, e questo ha fatto la loro fortuna.

La ruota della fortuna, come si è visto, è quella che gira sotto i suoi piedi e fa proprio come quella della roulette: i numeri escono a caso e se non c’è qualcuno che bara al casinò si può vincere come si può perdere: una possibilità su 37, tante sono le caselle rosse e nere in cui è suddiviso il disco al centro del tavolo, con l’eccezione dello 0 che è verde o talvolta bianco.

Cieca è la fortuna e ciechi molti di quelli che la sfidano appunto al gioco: perché se non ci fossero molti perdenti non ci sarebbe gioco per i pochi vincenti.

Si va in cerca di fortuna, quando si è disposti a muoversi pur di tentare di mutare le proprie condizioni di vita. Lo fanno molte persone che non hanno avuto la fortuna di avere fortuite condizioni di vita intorno a sé. Ed ovviamente quella fortuna vanno a cercarla dove si dice che ci sia. A volte sono balle, perché molti cercatori d’oro, in alcuni posti, l’oro non l’hanno mai trovato, altri montagne invece. Ed anche oggi è così: spesso là dove c’è ricchezza non c’è fortuna.

Ma in determinate situazioni bisogna tentarla ed andarsela appunto a cercare, se non vuoi che una statua bendata stia lì a dire per tutta la vita dove tu devi stare.

Poi c’è da dire che un pizzico di fortuna non guasta mai, anche quando fai affidamento solo su di te e al terno al lotto non ci credi, così come alla storia del principe azzurro o della bella fatina tutta per te.

Augurarla è bello, è bello che arrida, è bello che assista, che sia propizia, che ci siano parole fortunate ed altre capaci di stimolarla. È bello rendersi conto che si ha avuto la fortuna di conoscere qualcuno. È bello che un’idea abbia avuto fortuna. Bello sarebbe che chi ne ha o ne ha avuta – si dice abbia fatto o ereditato o dilapidato una fortuna, così come di un povero diavolo si dice non abbia mezzi di fortuna –, ne fosse consapevole, e talvolta magari, per gratitudine ad essa, ricambiasse la pariglia, passasse il testimone. Poi c’è la botta di fortuna, che è bella anche per l’altro modo in cui si dice. L’occasione favorevole, questo intende qui fortuna, va afferrata per i capelli, non bisogna lasciarsela scappare. Come quella di scrivere qui la parola fortuna.

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