LA PAROLA

Galaverna

«Quando lo scorso mese, nel fitto dell’inverno, io venni da te, carissimo Oreste, vidi, girando l’occhio lungo tutta la strada e la sfogata campagna, lo spettacolo pittoresco della galaverna; dove a creste o zighizaghi, dove a nastri o trine, quando a pizzi o frange, e quando a pendagli o rotoletti, come fiori d’avellani o di noci, secondo l’intrecciata e varia conformazione o configurazione de’ rami negli alberi…».

Le parole sono di Prospero Viani (1812 – 1892), accademico della Crusca, scrittore, storico, critico letterario – tra l’altro un vero estimatore del Leopardi e autore di un’importante introduzione al volume Giacomo Leopardi, Epistolario edito Le Monnier) e sono indirizzate ad un amico – Oreste per l’appunto – che evidentemente viveva in campagna. La galaverna infatti – o calaverna, ma non formalizziamoci che poi si perde il filo – è un fenomeno atmosferico tipico dei grandi spazi, un tempo molto frequente oggi più raro, che ha la straordinaria capacità di muoverci alla poesia. Il motivo è semplice: il paesaggio che disegna è talmente bello e silenzioso, austero ed elegante che induce al pensiero… ma non a un pensiero qualsiasi ché, piaccia o meno, è sempre presente nel nostro cervello, ma a un pensiero delicato, morbido, quasi si volesse, di fronte a questo evento, togliersi le scarpe e camminare scalzi in punta di piedi per non far rumore, tra rami d’alberi imprigionati dal freddo, fantasmi di steli d’erba o foglie ghiacciate attese e sospese come precipitate in un sogno.

La scienza ci dice che la galaverna è un deposito di ghiaccio, in forma di scaglie e aghi, su oggetti del paesaggio prodottosi in presenza di nebbia a una temperatura abbondantemente inferiore allo zero. Il meccanismo meteorologico è semplice: se l’aria è fredda ecco che le gocce d’acqua sospese gelano attaccandosi alle superfici che incontrano.

Il risultato che ne scaturisce è suggestivo. Chi la incontra è come se entrasse in un quadro di cristallo e chiunque entri in una cristalleria sa che se non sta attento fa la parte dell’elefante. Di qui l’istinto primordiale per il senso poetico… Di qui la necessità di diventare prudenti, autentici e misteriosi… Di qui la predisposizione naturale al misticismo, così da conformarci alle leggi della natura ringraziandola per saper produrre fenomeni meravigliosi come questo.

Per chiudere correttamente con la scienza, ricordiamo anche che la galaverna ha bisogno di una ventilazione scarsa e si distingue dalla brina perché quest’ultima coinvolge solo le micro-gocce presenti naturalmente sulle foglie o sull’erba le quali, gelando, formano quella leggerissima patina bianca che conosciamo.

Che aggiungere? Che la galaverna può essere uno spettacolo duplice: con nebbia o senza. Se vi capita di assistere al primo caso sappiate che il mondo diventerà felliniano e vi richiamerà all’episodio di Amarcord… Ricordate? La scena è quella del nonno che esce di casa e si perde in un paesaggio fatto di ombre. Ecco, quelle ombre e quei fantasmi, quegli scheletri di alberi imprigionati e quel paesaggio lunare vi faranno pensare di essere in un altro mondo, in un altro film, un mondo congelato, incarcerato, bloccato da un maleficio tanto da farvi pensare di essere precipitati nell’Italia di oggi… Ma no, scherzavo. Volevo scrivere dell’Italia di Salvini, ma come si fa a parlare di queste cose di fronte alla magnificenza della galaverna?