LA PAROLA

Garzone

Ne conosciamo bene il significato: proprio tutti sanno della sua “vita agra”, come direbbe Luciano Biancardi, degli stenti che ha sopportato, delle umiliazioni che ha partito. E non ci dispiace affatto che almeno il sostantivo non sia nostro ma a noi arrivi per importazione.

Il suo contrario è padrone che di solito è colui che comanda i sottoposti tra cui, nel caso, il nostro povero garzone. Il termine, secondo la Treccani, viene dal francese garçon, sostantivo che originariamente stava ad indicare un uomo in tenera età. Tanto che il Buti arriva a distinguere tra il fanciullo (fino a sette anni) e appunto il garzone (fino a 14) trovando conferma nel Foscolo che, nell’Ode All’amica risanata, ci regala un verso («Te, Dea, mirando obbliano i garzoni le danze») dove il termine, nulla indicando di negativo, ci riporta all’allegria di una età adolescenziale.

C’è anche chi, ricordando vocaboli germanici, propone azzardate etimologie riferite alle armi, ovvero al garzone come scudiero. E c’è chi arriva per altre vie all’originario significato francese di individuo in via di maturazione, ravvisando nel termine lo stampo latino che di garzo o garzuolo, ovvero, letteralmente “grumolo del cavolo”, cioè la parte più tenera e giovane della pianta per cui il garzone torna ad essere “un torsolo d’uomo”. Connotazione che, staccandosi progressivamente dal significato originario, ha privilegiato nel tempo quello figurato e affatto positivo per chi come torsolo è stato indicato. Consuetudine lessicale che abitualmente non ha risparmiato il nostro garzone.

Se l’origine francese riunisce oggi la maggior parte degli studiosi, va detto che nella lingua italiana il significato del sostantivo risente fortemente dell’impiego “locale” del povero garzone in lavori mai poco umili e mai meno faticosi.

Per rimanere in Toscana, il garzone ha popolato per anni le campagne e il suo impiego è stato prevalentemente legato all’attività nei campi. Poco il salario, scarso il cibo, un giaciglio per lo più nella stalla, compagno e custode di capi ovini e bovini.

Altrove esistono diverse particolari notazioni. Nel dizionario offerto da Repubblica, nella fattispecie riferito alla situazione del Lazio, viene indicato il garzone soprattutto come «lavoratore dipendente non qualificato, addetto ai servizi più semplici e materiali di un’attività, specialmente in un negozio o in un laboratorio artigiano: il garzone del fabbro, del falegname, del fornaio».

I milanesi del “Corriere della Sera” fanno invece del nostro garzone soprattutto «un addetto ai lavori umili e, in particolare, alla consegna della spesa a domicilio». E c’è chi ne ravvisa un uomo di fatica nella lavorazione del latte che, almeno in Toscana, il povero garzone ha visto a mungitura avvenuta ma molto poco sulla propria misera tavola.

 

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