L’idrogeno è l’elemento più abbondante dell’universo. Costituisce il 75% della materia a noi visibile (massa barionica) e il 90% degli atomi. Galassie, stelle, pianeti, animali… sono abbondantemente formate da esso tanto che, nel nostro corpo, è il terzo elemento per massa (il 10%, dopo carbonio e ossigeno) pari al 62% dei nostri atomi. È stato identificato solo nel 1766. Lo fece Henry Cavendish osservando che la combustione di questo gas – altamente infiammabile – produceva acqua. Fu però Antoine Lavoisier a proporne il nome – hydro-genes – che in greco vuol dire creatore d’acqua. Sulla Terra non se ne trova molto in forma pura per via del suo leggerissimo peso specifico, che lo porta a fluttuare verso gli strati superiori dell’atmosfera dove si perde nello spazio.
All’idrogeno Primo Levi – di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita e a cui TESSERE ha dedicato una “appassionata” biografia – ha dedicato il secondo dei 21 racconti che compongono Il sistema periodico.
L’idrogeno è alla base del meccanismo che regola innumerevoli reazioni chimiche fondamentali in fisiologia ed è ovviamente presente nell’acqua la cui molecola – ricordiamo – è il composto più abbondante del creato. Scientificamente la sua semplicità ha aperto la strada alla meccanica quantistica perché dall’atomo di Bohr all’equazione di Schrödinger (fino al modello a orbitali che spiega l’intera chimica) lo studio dell’idrogeno ha permesso di avvicinarsi ai modelli fisici attuali.
La sua origine è legata al Big Bang. Quasi 14 miliardi di anni fa (13,8 miliardi per la precisione) quando ebbe inizio l’espansione da uno stato di altissima densità e calore, le temperature erano così alte che l’energia si convertiva spontaneamente in coppie di particelle e antiparticelle che subito dopo si annichilivano ridiventando energia. Insomma l’universo era una zuppa di radiazione (fotoni) e particelle subatomiche (quark, leptoni e i relativi anti-partner). Poi i quark riuscirono ad organizzarsi nei primi barioni (protoni e neutroni) idem gli antiquark (antiprotoni e antineutroni) un equilibrio che venne spezzato da una reazione tuttora ignota chiamata bariogenesi, il cui risultato fu la produzione di un decimiliardesimo di materia in più rispetto all’antimateria che ne subì di conseguenza gli effetti sparendo dall’universo. Da allora immense nubi di idrogeno primordiale si sono organizzate in stelle e galassie. Nel nucleo delle stelle l’idrogeno ha ripreso le sue trasformazioni generando tutto il sistema periodico degli elementi e di conseguenza la realtà – e noi stessi – come la conosciamo oggi.
E qui casca l’asino. Nel senso che entriamo nella sfera del perché l’Idrogeno sia così importante per il futuro nostro e della terra. Esso infatti ha due isotopi stabili: il prozio – idrogeno semplice fatto di un protone con un elettrone (il 99,99% dell’idrogeno in natura) – e il deuterio – con un neutrone extra – che costituisce il rimanente 0,01%. Infine c’è anche il trizio – un isotopo instabile con due neutroni che, decadendo, si trasforma in elio-3 – che si pensa di utilizzare insieme al deuterio per generare energia tramite la fusione nucleare. Il deuterio, lo ricordiamo, lo troviamo soprattutto nell’acqua di mare (una molecola d’acqua su settemila ha il deuterio) mentre il trizio lo si ottiene attraverso alcune reazioni che coinvolgono il litio.
In tempi come questi, dove la paura per il Climate Change è sovrana e domina su tutti gli altri nostri terrori (terrorismo, guerre, fame, miseria e via elencando) in quanto prefigura la sciagura delle sciagure, quella biblica della fine del mondo, con tanto di angeli e arcangeli a suonare trombe e trombette, in tempi come questi si diceva possiamo riporre speranza nella fusione nucleare? Possiamo avere fiducia nella scienza? Possiamo sperare che ci tolga da questo imbarazzante e pericoloso momento dove nessuno sa come andrà a finire tra appena trent’anni? Gli scienziati dicono di sì. Anzi dicono che la fusione nucleare è in grado di produrre energia illimitata senza emissione di radiazioni nocive semplicemente riproducendo sulla terra ciò che in ogni istante avviene dentro al nostro Sole.
I suoi vantaggi – della fusione intendiamo- sono evidenti: l’abbondanza del combustibile – l’acqua di mare – e la (relativa) poca quantità di energia necessaria per attivare la fusione. Inoltre la non emissione di inquinanti dell’aria (gas serra) e la non produzione di scorie radioattive (come invece attualmente avviene con la fissione nucleare). Nessun rischio dunque che possano ripetersi incidenti come Chernobyl, Three Mile Island, Fukushima e altri di minore gravità. Tra gli svantaggi c’è che la tecnologia per raggiungere questi risultati c’è, ma non è ancora completa. Occorrono più investimenti. Occorre più buona volontà da parte degli Stati.
Attualmente i progetti nel mondo per raggiungere questo obiettivo sono diversi. Il più avanzato è ITER (acronimo inglese di Esperimento di Reattore Termonucleare Internazionale) che nelle intenzioni si vorrebbe semi operativo entro il 2050. Il costo previsto è di 16 miliardi di euro di cui la metà circa dell’Unione Europea e l’altra metà di un consorzio di 34 Paesi che includono USA, Cina, Corea del Sud, India, Russia e Giappone. L’Unione Europea fornisce un contributo più che proporzionale rispetto ai suoi abitanti perché ospita il progetto che ha sede nella città francese di Caradache nel sud della Francia. Lo scorso novembre invece i cinesi hanno ottenuto con il reattore nucleare East un plasma pari a 100 milioni di gradi. Un risultato a confinamento magnetico che gli esperti ritengono eccezionale.
Domanda: non sarebbe meglio se i governi di tutto il mondo o perlomeno la parte ricca di esso, invece di buttare soldi e intelligenze in complesse strategie militari per la produzione di armi sempre più pericolose si concentrassero su come raggiungere la costruzione di molte più centrali a fusione nucleare ben prima del 2050? E se il movimento di Greta Thunberg cambiasse urlo e non si limitasse a un generico «fate qualcosa», ma proponesse con un preciso cronoprogramma – fatto da scienziati ovviamente – un percorso per superare le ultime difficoltà tecnologiche? E se la politica dei paesi più avveduti decidesse di mettere una percentuale del loro pil su un fondo gestito da un’agenzia Onu – sì che aumentino e di molto i centri di ricerca – così da finanziare la fusione? Non conquisteremmo allora – e finalmente – la parola regina, la parola che più desideriamo oggi al mondo ma che purtroppo scarseggia, vale a dire la parola speranza? Dicono che sia lei – la speranza – a far bello il mondo, lei a fare lavorare bene la gente, lei a sbattere in fondo al corridoio della nostra psiche le paure, i rancori, gli odi che ci governano, lei a dipingere di azzurro il nostro cielo e il nostro avvenire. Dunque è l’idrogeno il nostro futuro. Se ne sta lì da miliardi di anni. Ci guarda. Sembra dire: ma quand’è che vi decidete di venirmi a prendere? Basta solo farne buon uso.